Poyekhali!

Nei giorni in cui il proto-elicottero Ingenuity d’ispirazione leonardesca, uscito pigramente dal marsupio del modulo Perseverance atterrato sul Pianeta Rosso il 18 febbraio 2021, ha cominciato a sgranchirsi le doppie ali nell’impalpabile atmosfera marziana e si appresta a fare di meglio, qualche riflessione sull’anelito al volo, anche frettolosa, si impone.

Le Nazioni Unite hanno dedicato la giornata del 12 aprile alla Celebrazione dell’Uomo nello Spazio. C’è bisogno di sapere la motivazione? Se con gli esperimenti di Leonardo (1452-1519) con la macchina per volare collaudata, da Fiesole in giù, dall’amico noto come Zoroastro del borgo di Peretola (quindi praticamente mio vicino di casa, trascurando i 500 anni trascorsi), ci si poteva chiedere perché il buon Dio non avesse dato le ali anche all’essere umano, le prime perplessità sono sorte dopo i 12 secondi dei fratelli Wright, nel dicembre 1903: la questione del volo si stava facendo un po’ complessa. Cinquanta anni dopo i Wright volavano già i Boing 707, scorrazzando 150 passeggeri tra le nuvole (del resto la Compagnia fu quasi coeva ai famosi fratelli) e dopo una manciata di festival, Modugno vinceva con Il Blu dipinto di blu. Insomma, messi in soffitta i marchingegni di tela e cera ispirati ad Icaro, levarsi in aria era divenuto un concetto comune, che non sorprendeva più nessuno.

Con inattesa progressione, poco più di mezzo secolo dopo, nel 1961, 12 aprile, il piccolo collaudatore Jurij Gagarin, dell’Oblast (tipo provincia) di Smolensk nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, compì un volo orbitale attorno al pianeta, a 27 mila km/h, in 1 ora e 48 minuti: primo essere umano a staccarsi, ma sul serio, dalla Terra. Il record resisterà per ben 11 mesi, fino all’americano John Glenn, tanto per sottolineare la superiorità spaziale sovietica, rimasta fino alla morte del capo progettista Sergej Korolëv, nel 1966. Infatti, alla fine sulla Luna ci arriverà per prima l’Agenzia Spaziale statunitense. A Gagarin, morto l’anno prima in un banale incidente, sarà risparmiato di vedere la fine dei sogni suoi (si dice sempre così, in accordo alla corrente retorica condivisa) e del Grande Paese ugualitario. Anche quel volo solitario fu “un grande salto per l’Umanità”, come si era preparato a dire Neil Armstrong nel luglio 1969, ma non fu invece “un piccolo passo per un uomo”: perché non trattò di entrare in contatto con un suolo, anche se ritenuto fatto di cedevole polvere (che invece non era). Fu in realtà un vero tuffo nel vuoto, nell’ignoto. Un rischio quasi fine a se stesso, con un finale, pur previsto, alla Cenerentola, perché come al solito, partire è facile, il problema è l’atterraggio. Che i russi non sapevano ancora condurre in sicurezza, e Jurij (o Yuri) dovette abbandonare la navicella Vostok e tuffarsi di nuovo, ma stavolta solo e verso il suolo. Tanto che rischiò che non gli venisse riconosciuto il ruolo di Primo Uomo attorno alla Terra, perché il decollo era stato con una navetta, ma il rientro con un paracadute. Ci sarebbe mancato anche questo.

Tornò sano e salvo, ma chissà quanti ne erano sicuri, anche nel suo stesso ambiente. Fu un’impresa che avrebbe fatto impallidire perfino Luciano di Samosata (120-190) o Ariosto (1474-1533), e sulla quale nel 2013 è stato realizzato anche un (bel) film: Gagarin, primo nello spazio, che ha la stessa durata esatta del volo originale. Dalla ‘Kremlin Films’, ovviamente. Gagarin non pensò (almeno apparentemente) a ciò che stava per sfidare e, fatta pipì subito prima di imbarcarsi (poi divenuto rito per tutti gli astronauti d’ambo i Paesi) alla base di Bajkonur disse semplicemente: «Poyekhali!», ossia: Andiamo! in omaggio al conterraneo Konstantin Tciolkovskij (1875-1935) e alla sua famosa frase: «La Terra è la culla dell’umanità ma non si può vivere per sempre in una culla».

Adesso siamo arrivati di nuovo al rintocco dei “50 anni dopo” e nell’epoca delle cabriolet in volo spaziale (si veda: “In viaggio verso Marte, su un’auto decapottabile”, su Colombaria.it/rivistaonline del 7 marzo 2018) non dobbiamo comportarci come i passeggeri del 707 e trovare tutto questo ormai normale. Non lo è stato. In quell’aprile 1961, la Storia aveva veramente voltato pagina. Comuni concetti divennero ardue prospettive in cui impegnarsi, con l’aggiunta legittima dell’aggettivo ‘spaziale’: esplorazione spaziale, fisiologia spaziale, coltivazioni spaziali… Il folle progetto del volo muscolare umano era in realtà una piccola ambizione: ambizione impossibile e allo stesso tempo modesta. Imitare gli uccelli. Tutto qui?

Sia chiaro: in ambito biochimico e genetico, non solo siamo ai primi passi, ma neppure è chiaro dove e come si debba arrivare. Ma in Fisica applicata o Ingegneria, no: sono scienze facili più facili di quel che sembrano, e in quei campi superare la Natura, beh, ci si può anche riuscire. E superare gli uccelli, come intende fare Ingenuity.

Siamo davanti ad un Grande Anniversario, di quelli dove si sparano le salve di cannone, almeno mentalmente. È l’anniversario anche di un’occasione mancata, perché in quell’anno 1961 venne approvato il progetto italiano San Marco di Luigi Broglio per le attività spaziali, che molto prometteva e abbastanza mantenne, per poi sfumare con i titoli di coda. Ma questa è un’altra storia, come si usa dire.

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