ASCESA E DECLINO DELLA NOBILTÀ RUSSA. DA PIETRO IL GRANDE A NICOLA I di Lapo Sestan

Il volume offre un ampio e prezioso profilo di storia russa tra il XVII secolo e la metà dell’800, incentrato sui tentativi dell’aristocrazia di limitare e condizionare i poteri dell’autocrazia zarista, in particolare nel secolo dopo la morte di Pietro il Grande. Tensioni e discussioni riflettono in questo periodo le difficoltà di definizione autonoma del corpo nobiliare, la sua sostanziale frammentazione interna, e le conseguenze sociali e amministrative della Tavola dei Ranghi emanata dallo Zar nel 1722, che legava la legittimazione formale della nobiltà al servizio dello Stato, a vita o per lunghi periodi. Destinato a incidere sulla società russa sino al 1917, il provvedimento venne modificato ma non abolito dall’ambiguo ‘Manifesto’ di Pietro III del 1762, che svincolava i nobili dal servizio, ma manteneva il diritto di richiamarli secondo necessità. La tradizione petrina mirava a costituire un’amministrazione solida, in grado di modernizzare, anche su modelli occidentali, un Impero vasto e in espansione, e consentiva la nobilitazione a partire da livelli relativamente bassi (l’VIII rango per la carriera civile, il XIV per quella militare, assegnati tramite automatismi “di carattere impersonale e burocratico”, p. 58). Ciò si tradusse nell’afflusso di non privilegiati nei quadri del ceto superiore, ma anche nel crescente allarme e nella costante polemica dei gruppi nobiliari intermedi o inferiori, minacciati nelle proprie possibilità economiche e di avanzamento. Tentativi di abolire o correggere tali disposizioni si succedettero tra ‘700 e ‘800, senza peraltro arrestare la crescita di nuovi nobili entro una burocrazia passata dalle 16.000 unità sotto Caterina II alle 113.000 al termine del regno di Nicola I (p. 326). Il problema coinvolse, in maniera collaterale, il nucleo dell’alta aristocrazia di Corte, posto al centro del volume e protagonista dei disegni di riequilibrio e ridimensionamento del potere sovrano. La contrastata accessione della Zarina Anna nel 1730 vide la proposta di affiancarle il Senato e il Consiglio Segreto nell’azione di governo, con un richiamo ad esperienze occidentali e al modello costituzionale della Svezia di Federico I. Ma l’opposizione della piccola e media nobiltà, che vede nell’autocrazia la migliore garante dei propri interessi, condanna il progetto al fallimento e segna uno “spartiacque” nella storia russa (p. 81), evidenziando anche per il futuro la disomogeneità del corpo nobiliare e la  sostanziale rinuncia dell’aristocrazia a svolgere compiute funzioni politiche. Progetti di ridefinizione dei rapporti tra autocrazia e vertici nobiliari non mancarono in seguito, durante la Commissione Legislativa di Elisabetta nel 1754, poi nel lungo regno di Caterina II, dalla ‘Commissione sulla libertà della Nobiltà’ alla ‘Carta della Nobiltà’ del 1785, passando per la grande assise sulla giustizia del 1767-1768: dove l’eco di modelli dell’Europa Settentrionale contemplava il richiamo al Senato e al Consiglio Imperiale quali sedi di parziale condivisione del potere. Ne esce confermata la funzione propositiva di una élite titolata, alla ricerca di conferme formali del proprio status fondato su basi censitarie e dinastico-territoriali, volonterosa collaboratrice della sovrana, ma libera da obblighi di servizio. Il fallimento di tali proposte suggerisce però la scarsa incidenza politica di una aristocrazia – spesso colta e aperta ai Lumi, ma limitata ad una frazione della nobiltà (1% del totale, circa 1.500 individui su di un insieme di 150.000 persone a metà ‘700, salite a 200.000 un secolo dopo), in genere priva di compiti giudiziari e amministrativi nelle province, diversamente da quanto avviene in Prussia o nel Regno di Francia, e non dotata di tradizioni di autogoverno o riferimenti feudali. Quanto all’obbligo del servizio di Stato — formalmente abolito, ma di fatto in vigore – esso resta la via regia per l’acquisto di redditi e privilegi per la massa della nobiltà minore, a conferma del sostanziale divario di valori e pratiche dai contesti occidentali.

Il progetto più organico di modernizzazione politica risale comunque all’avvio del nuovo secolo durante il regno, inizialmente riformatore, dello Zar Alessandro I. Se ne fece interprete il ‘partito senatoriale’, legato ai vertici della famiglia Voroncov, eminente a Corte e nel governo da più di mezzo secolo. Aperte alle istanze di liberalizzazione dell’economia e alle idee dell’Illuminismo, queste figure guardano soprattutto all’Inghilterra, al sistema di garanzie che ne garantisce la vita pubblica e alla condivisione dei poteri tra re e Parlamento, vista come fonte di stabilità e imparzialità del potere. Senatore, Presidente del Consiglio di Stato, già titolare di incarichi diplomatici in Olanda e in Inghilterra, Aleksander Voroncov mantiene nella nuova fase buoni rapporti con il Comitato Segreto che affianca lo Zar, mentre il fratello Semën è ambasciatore in Gran Bretagna, dove morirà nel 1832. Proprio la corrispondenza di Semën con alte personalità russe, e lo stesso Alessandro I, è ben valorizzata nel volume ed evidenzia la funzione pubblica dell’aristocrazia come naturale baluardo del potere monarchico, coadiuvato dal Consiglio di Stato e da un Senato riqualificato e dotato del diritto di rimostranza – da tempo dibattuto e già in vigore in altri Paesi — rispetto a decisioni sovrane ritenute contrarie all’ordinamento. Le due istituzioni avrebbero dovuto riproporre così su suolo russo la dialettica tra Consiglio Privato e Camera dei Lord in Inghilterra. Ma lo scrivente guardava anche a compiti e diritti della nobiltà nel suo complesso, con la richiesta della piena partecipazione alle Assemblee provinciali di ceto di chi non serva o non abbia servito lo Stato (in contrasto con le disposizioni in merito di Caterina II e della Carta della Nobiltà del 1785). E’ però ad Aleksander Voroncov che si deve un progetto riformatore complessivo non privo di valenze ‘costituzionali’. La ‘Carta del popolo russo’ del 1801, che lo vede tra i redattori principali, disegna la trasformazione dell’Impero zarista in uno ‘stato di diritto’, fondato sulla libertà dei sudditi-cittadini, sul servizio dello Stato come autonoma scelta, la liberalizzazione di traffici e movimenti, il possesso di beni immobili esteso a contadini e servi. Se la ‘Carta’ delinea un’identità del corpo nobiliare sostanzialmente staccata dall’autocrazia, a presidio del sistema tornano il Consiglio di Stato e il Senato, tradizionali organi dell’élite nobiliare. Non minor rilievo ha il rifiuto dell’arbitrio sul piano giudiziario, fiscale e amministrativo, in particolare per ciò che riguarda la nobiltà. Procedure e ordinanze devono rispecchiare la legislazione vigente, mentre la richiesta del ‘giusto processo’ prescrive la presunzione d’innocenza, il diritto dell’accusato alla consulenza legale e alla ricusazione del giudice, la possibilità della cauzione per i reati meno gravi. Non è difficile riconoscere qui il portato di tanta parte del pensiero settecentesco e dell’Illuminismo penale, entro un profilo che mira ad aggiornare l’assolutismo in chiave moderata e ‘razionale’. Un progetto che coinvolge talune delle migliori intelligenze della società russa, ma di fatto condannato al silenzio da Alessandro I, più sensibile al modello dirigista e autoritario della monarchia amministrativa napoleonica. Lo scacco subito dal ‘partito senatoriale’ avvia però il crescente distacco tra l’autocrazia e la nobiltà russa, che nel 1861 non saprà contrastare una decisione per lei epocale, quale l’abolizione della servitù. Il rafforzamento e l’espansione dello Stato e le esigenze pratiche di governo portano infatti al progressivo potenziamento della burocrazia, con un processo che le riforme scolastiche ed universitarie avviate da Alessandro I alimentano coinvolgendo accanto alla nobiltà (dopo il disinteresse iniziale, nel 1855 il 60% degli universitari sarà di origine nobile) i ceti non privilegiati e persino contadini, incidendo sulla complessa situazione sociale dell’Impero. Riforme scolastiche, e selettiva apertura ai gruppi subalterni, che non mancarono di suscitare critiche, opposizioni e modifiche, ma non in grado di arrestare una trasformazione contrastata e di lungo periodo.

Renato Pasta
(Università di Firenze)

Lapo Sestan, Ascesa e declino della nobiltà russa. Da Pietro il Grande a Nicola I, Roma, Viella, 2023, pp. 352

Il volume è stato presentato in Colombaria il 10 ottobre 2023 con gli interventi di Renato Pasta, Marco Natalizi e Lucia Tonini.
La registrazione dell’evento è disponibile sul canale YouTube dell’Accademia.

 

 

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