Il primo cinema non si scorda mai (una segnalazione libraria)

Io sono convinto che la Colombaria sia sì un’Accademia, ma in conformità della sua vicenda storica sia soprattutto un ente, o meglio un luogo dello spirito, suscitatore e coltivatore di emozioni, perché lo scopo dell’accademia non risiede nella semplice ricognizione delle indagini di vari scienziati, per quanto importanti possano essere. Ed è infatti il Domestico nome accademico di Bindo Simone Peruzzi, a metterlo in evidenza, quando ci dice che la curiosità è un difetto, un vizio ‘scandaloso’ e ‘perverso’ allorché viene adoperata male, eppure diventa una «commendabile virtù» se e in quanto usata per far guerra al distruttore della memoria, quel fiero nemico che si chiama tempo. Il modo per sconfiggere il disastro è raccogliere le vestigia del passato; e proprio a Firenze sono presenti molte persone che operano in tal senso, bisogna soltanto metterle insieme e coordinarne le azioni in modo si convincano a far conoscere i tesori da loro accumulati, senza spogliarsene. Negli Annali, con la verbalizzazione, s’intendeva consegnare alla memoria che in un dato giorno un certo socio aveva proposto all’attenzione del consesso la cosa descritta. E così un ‘soggetto’ invocava per un ‘oggetto’ una ‘salvezza’ costituita dalla «liberazione dalla morte e dalla privazione di significato», e contemporaneamente tale salvezza la pretendeva per sé stesso.

Tutto ciò mi tornava in mente nello sfogliare il volume da poco uscito a cura di Fabrizio Borghini e Luca Giannelli Il primo cinema non si scorda mai (Firenze, ediz. Scramasax), e presentato anche in una riunione dell’“Antica Compagnia del Paiolo”, un importante sodalizio di pittori e di altri artisti. Nel libro, attraverso la raccolta delle testimonianze di 127 persone, è ricordata la vicenda di 300 sale cinematografiche di Firenze, dalla loro comparsa al principio del Novecento fino alla quasi totale defezione dei giorni nostri. Quale miglior induttore di sentimenti e d’emozioni d’una sala dove “l’azzurro del fumo delle sigarette veniva attraversato dal fascio bianco della proiezione”, come dice Franco Cardini nella sua bella introduzione, avendo cura di circoscrivere temporalmente un fenomeno ormai sommerso dagli odierni social media. E appunto, qui non si parla dei film, belli o brutti, pietre miliari o innominabili scarti che siano, ma si realizza il tentativo di “rendere l’idea di cosa abbia rappresentato, per oltre un secolo, andare al cinema. Un rito collettivo, un transfert, un momento di aggregazione, di accrescimento culturale, di svago, di liberazione” (come affermato dagli autori); ognuno degli intervistati, dai personaggi noti agli sconosciuti, ha rievocato la sua semplice essenza di spettatore-frequentatore d’un qualche locale negli anni in cui ancora il vero grande nemico della sala cinematografica, il televisore, era lontano dall’acquistare la dominanza del pubblico.

Efficacemente fece notare un grande studioso della comunicazione, Marshall McLuhan, come quell’apparecchio sia da includere tra i media ‘freddi’, e lo spettatore s’identifichi con lo schermo; e ancora s’è diffusa una battuta sulla capacità della TV di trasformare la cerchia familiare in un semicerchio; ci si riferiva però agli inizi d’una metamorfosi che oggi si manifesta chiaramente in un’incomposta ridda di canali e di frequenze: capaci soltanto di far vieppiù risaltare l’umana solitudine. Proprio quella che veniva combattuta e sconfitta anche con l’acquisto del biglietto d’ingresso al cinema.

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