I diritti soggettivi nella storia

A quanti s’approssimano allo studio della giurisprudenza viene insegnata la divisione fondamentale tra diritto oggettivo e diritti soggettivi; mentre il primo, che sarebbe meglio chiamare ‘ordinamento giuridico’, designa il complesso delle norme regolanti i rapporti tra gli utenti del diritto (qualcuno specifica ‘positivo’), il secondo indica gl’interessi che vengono tutelati da esso; e questi si dividono in ‘assoluti’, non bisognosi di cooperazione altrui – fondamentalmente i diritti della personalità e i diritti reali di godimento (come la proprietà, l’usufrutto) o di garanzia (come l’ipoteca) – e ‘relativi’, caratterizzati dalla necessità di determinati comportamenti da parte di altri soggetti – importantissimi di diritti di credito derivanti da rapporti obbligatori.

Critiche appaiono formulabili per ogni definizione o classificazione; e si capisce quanto siano numerose in questa materia; tuttavia, ad alcuni diritti soggettivi, detti ‘civili’, riservati ai cittadini, è stato assegnato un valore particolare, ed essi hanno trovato posto negli atti fondamentali dello Stato attuale, come, nel nostro, la Costituzione repubblicana, venendo, nella specie dei ‘diritti politici’, a rappresentare l’espressione perfetta dell’autorità del ‘popolo sovrano’. Ora, se ci si domanda, pur limitandoci al mondo giuridico nel quale viviamo, qual è stata l’origine e l’evoluzione di tutto ciò, le visuali degli studiosi non sono concordanti. Secondo molti storici, nel mondo greco e romano nonché per lungo tratto del medio evo, non solo era inesistente la nozione di diritto soggettivo, ma anche l’individuo non godeva di diritti se non in quanto appartenente ad un certo gruppo, a una certa classe sociale, e per la nascita del concetto occorre aspettare lo sviluppo delle teorie giusnaturalistiche, elaborate da pensatori quali Ugo Grozio e John Locke, e articolate lungo i percorsi relativi alla vita, alla libertà personale, alla proprietà e alla partecipazione ai processi decisionali pubblici.

Di contro a tale communis opinio, secondo alcuni autorevolissimi studiosi del pensiero filosofico medievale le prime definizioni di ius naturale sarebbero da trovarsi negli scritti di Guglielmo da Ockam, un letterato inglese del Trecento, appartenente a quell’ordine francescano che ebbe molte responsabilità nell’evoluzione di concetti ormai familiari a tutti noi. In particolare, il filosofo giuridico Michel Villey affermò che l’Ockam attribuiva a ius il significato di “potere che un individuo esercita su un bene”, legato alla volontà del suo detentore; ma a tale interpretazione sono state mosse critiche basate sul riconoscimento d’una ben più antica tradizione, instauratasi non appena avvenne il cosiddetto ‘rinascimento giuridico’, alla fine del secolo undecimo, con la fondazione dell’Università basata sull’utrumque ius, vale a dire l’unione del diritto romano e del diritto canonico: e difficilmente si può contestare sia questa la visuale giusta. Al tempo stesso, bisogna sottolineare come gesti concreti, relativi a fatti riguardanti gli individui e le comunità, si siano affiancate alla teoria grazie alle tendenze ed abilità di ciascuno, alle capacità soggettive di affermarsi e d’imporsi in alcuni ambienti; ed ecco allora che l’emersione dei diritti personali può cogliersi anche dall’esame di alcuni documenti emblematici cioè rappresentativi d’intere classi di atti.

Si pensi allo sviluppo delle città e dell’organizzazione loro in liberi Comuni. In vari luoghi sono presenti comunità di questo tipo fino da tempi antichi; forse in collegamento con le scholae o corporazioni che appaiono serbate in città come Roma o Ravenna o Pavia, ma il momento topico, almeno nell’Italia centro settentrionale, è riscontrabile allorché chi decide di stare dentro le mura accetta di fare parte di conventicole o coniurationes saldate da documenti scritti cui viene dato il nome di Statuti o Constitutiones. Anche le autorità somme del Papato e dell’Impero favoriscono lo sviluppo, visto che a partire dal secolo undecimo alcuni privilegia diretti a favorire ceti come quello dei mercanti, dei feudatari inurbati, dei peregrinanti per causa di studio o di religione sono emanati da loro. D’altro canto, risultano importanti anche gli accordi tra il dominus feudale e i suoi vassalli, in particolare, il segmento più interessante della vera e propria ‘storia parlamentare’ (come anche della ‘storia costituzionale’) si riconosce, ai giorni odierni, nell’episodio che vide protagonista il re inglese John ‘Lackland’ (“Giovanni Senzaterra”), quando fu costretto ad emanare la celebre Magna Charta libertatum, il 15 giugno del 1215. Vi erano state alcune precedenti assemblee di tipo parlamentare-feudale, in cui i baroni e gli altri ‘pari’ del regno avevano presentato precise richieste; la pressione  diventò alla fine talmente forte che il re, indebolito dalla sconfitta subìta dai Francesi a Bouvines, si decise a ‘concedere benignamente’ ai sudditi alcuni diritti limitanti l’autorità regia, che poi furono confermati come fondamentali dagli assertori della libertà politica nelle Nazioni, in specie in Inghilterra, attraverso atti come l’Habeas corpus del 1679 e il Bill of Rights di dieci anni dopo.

Meno conosciuto, importantissimo ma affrontato parzialmente, il problema dell’abolizione della schiavitù. Un solo esempio. Nel corso del Duecento i provvedimenti comunali vietano la messa in opera di patti di adscriptio glebae, e si vedono moltiplicarsi le affrancazioni, dirette ad abolire la dipendenza di tipo servile. Uno dei più famosi tra questi atti è quello contenuto nel bolognese Liber Paradisus del 1257, non solo perché riguarda quasi 6000 soggetti, elencandoli quartiere per quartiere, ma anche perché la regìa dell’atto che è tuttora conservato in originale fu del principe dei notai italiani, cioè Rolandino de’ Passeggeri.

Giusto è ritenere che i documenti costitutivi dei diritti umani universali, consacrati attraverso le rivoluzioni americana e francese, e continuati da numerosi altri più recenti, siano figli del giusnaturalismo secentesco, abbandonante le verità teologiche per fondare il diritto su basi razionali. Eppure non è possibile prescindere dalle numerose espressioni che in ogni epoca hanno incarnato i diritti individuali, anche inconsapevolmente: e ne è una chiara dimostrazione il diritto al nome, spesso trascurato, o sottovalutato, o ridotto al rango di mezzo di controllo di polizia, ma sempiterno emblema delle prerogative della personalità spettanti ad ogni essere umano.

Lascia un commento