Statuti della Repubblica fiorentina del 1355 in volgare

Alcuni giorni or sono, il 6 aprile, è stata presentata in Palazzo Vecchio un’opera davvero fondamentale, gli Statuti della Repubblica fiorentina del 1355 in volgare, la cui edizione è frutto del lavoro congiunto, pluriennale. di Federigo Bambi, Francesco Salvestrini e Lorenzo Tanzini, su iniziativa di Giuliano Pinto e della Deputazione di Storia Patria della Toscana.

Da addetto ai lavori, in proposito mi sono venute subito in mente alcune cose, la prima di complimentarmi con gli autori di tale ponderosa fatica, tanto più meritoria poiché fiorentini e dediti a quelle ricerche d’ambiente cittadino che hanno attirato tantissimi studiosi d’ogni altra parte del mondo, a cominciare ovviamente da Gaetano Salvemini e da Romolo Caggese.

Un’altra quasi immediata annotazione faceva riferimento a quanto osservato in un acuto articolo d’Umberto Santarelli di qualche anno fa, dove venivano additati non solo lo sviscerato amore mostrato da un intero ceto di eruditi dell’Ottocento per l’edizione dei testi statutari, ritenuta un necessario passepartout per la carriera di storico, ma anche un gravissimo errore collegato a tali pubblicazioni ed ad esse sotteso. Merita infatti soffermarsi su questa che potremmo definire ‘nomolatria’ in sostanza dovuta al positivismo, ovvero al ritenere che il “diritto” consista “tutto” nelle leggi: mentre Francesco Calasso ed altri eminenti storici giuristi hanno avvertito del delicato gioco d’interferenze che si attuava tra ius proprium e ius commune durante il periodo dell’Antico Regime.

Una volta, tra  i bibliofili c’erano degli autentici cacciatori delle edizioni statutarie, donde era possibile ricavare preziose e rare attestazioni d’usi e costumi locali: è un aspetto che viene sottolineato anche in questa bella pubblicazione curata da Olschki in tre volumi, perché, come spiegato nella presentazione editoriale, per la prima volta dopo oltre 650 anni sono a disposizione di studiosi e cittadini “documenti di grande interesse per comprendere la vita del tempo in tutti i suoi risvolti, raccontata e regolata nello Statuto con la freschezza della prosa volgare”. Non a caso, accanto a due storici del diritto come Mario Ascheri e Paolo Cappellini, è stata chiamata ad intervenire per illustrare tale “monumento della cultura politica fiorentina e della lingua italiana” anche Nicoletta Maraschio, presidente onoraria della Crusca.

Il momento storico è da ritenersi estremamente delicato, a ridosso com’è della cacciata del duca d’Atene, Gualtieri di Brienne, al quale, dopo i disastri della guerra con Pisa, era stata offerta la funzione di pacificatore: un ruolo del quale approfittò per tentare di farsi ‘signore’ della città in una specie d’anticamera del principato. Anche perciò c’è da formulare l’auspicio che attraverso quest’opera possano giungere sollecitazioni ulteriori sia a chiarire il funzionamento del Comune, dei suoi organi e del suo futuro, sia per mettere a fuoco l’attività di traduttore e di divulgatore di ser Andrea Lancia, soprattutto in ordine alle gravissime questioni legate all’interpretazione statutaria.

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