CRONACHE CULTURALI A FIRENZE: LA LUNGA VITA DE «IL MARZOCCO» (1896-1932)

  1. La rievocazione dei protagonisti

«Il Marzocco» fu un settimanale letterario e artistico fiorentino dalla vita lunghissima: nato nel Febbraio del 1896 cessò le sue pubblicazioni alla fine del 1932. Molto noto al pubblico coevo, quasi al pari di un quotidiano, durante il suo percorso mutò parzialmente i contenuti e le prerogative editoriali, adattando i programmi originari ai diversi momenti storici e culturali della città, rimasta sempre al centro dei suoi interessi. Con un altro elemento costante per l’intero periodo: la presenza dominante della famiglia Orvieto tanto nella proprietà quanto nella direzione.
Non è facile affrontare criticamente la testata in questo suo percorso, e non soltanto per la durata: «Il Marzocco» tende a sfuggire a chi voglia presentarne una sintesi o fissarne i cambiamenti nel tempo. Perché in effetti variazioni ve ne furono, tanto nei programmi quanto nell’idea del ruolo che un periodico culturale era chiamato a esercitare nella società a lui contemporanea (1).
Ma linee e tendenze sfumarono con gradualità, stemperandosi verso nuovi modelli senza tagli traumatici, marcate soprattutto da alcune evidenti modifiche editoriali delle quali ci è sembrato opportuno tenere particolare conto nel delineare l’itinerario della rivista.
La rievocazione delle origini del «Marzocco» da parte di uno dei primi collaboratori e redattori, Diego Garoglio, rappresenta nel Febbraio 1933 la prima storicizzazione ad opera di uno dei protagonisti. Non la prima in assoluto: seguiva infatti di alcune settima-ne brevi articoli e trafiletti comparsi su molteplici testate all’inizio dell’anno e un più ampio intervento di un giovanissimo Mario Praz, pubblicato su «L’Illustrazione italiana» già l’8 gennaio (2).
A Praz, oltre ad alcune acute osservazioni, spettò il merito di aver riproposto lui solo, come illustrazione, il pregevole stipetto ligneo a forma del leone donatelliano, di ‘marzocco’ appunto, opera dell’officina di intagliatori nella quale aveva lavorato anche Sem Benelli. Mobiletto non più esistente perché trafugato durante la Seconda guerra mondiale, quando l’abitazione degli Orvieto in via Bolognese, “Il Poggiolino”, fu anche sede del comando delle Forze alleate: nel periodo in cui gli Orvieto erano ancora nascosti nel convento dei Cappuccini di Padre Massimo a Borgo San Lorenzo, al di là della Linea gotica (3).
Garoglio aveva dalla sua la memoria personale e molti trascorsi comuni. Non soltanto per aver fatto parte del gruppo dei fondatori, ma per essere stato uno dei primi compagni e amici di Angiolo Orvieto al tempo dell’ideazione del predecessore del «Marzocco», quella «Vita Nuova»(4) sulla quale già avevano pubblicato Pascoli e Pirandello. Così sul quotidiano «La Sera» poteva rievocare con tratti pittoreschi e affetto nostalgico la nota riunione al Caffè Giacosa, presente D’Annunzio, attribuendosi forse più del dovuto gran parte dell’iniziativa: «Anni dopo – negli ultimi mesi del 1895 e nei primi del 1896 […] – cominciai a rimuginare dentro me stesso se non fosse utile, anzi necessario riannodare tutte le sparse fila delle nostre ormai più mature e feconde giovinezze, e ricominciare daccapo, ma con ben maggiore consapevolezza d’intenti e vigoria di forze l’interrotta impresa artistico letteraria della “Vita Nuova”. Tutte le circostanze mi parevano ad essa propizie: la presenza in Firenze (oltreché di quasi tutti i vecchi amici) del già famoso ma tanto discusso Gabriele d’Annunzio; la sicura collaborazione del nostro lontano e grande Pascoli, l’altruistica simpatia del critico Nencioni […] l’esistenza di un giovane editore che voleva farsi strada, Roberto Paggi; nonché l’appoggio, anche finanziario, dei genitori Orvieto […] Io ritornai più volte alla carica […] finché un giorno […] alla fine di una delle nostre interminabili passeggiate, egli [Angiolo Orvieto] si dichiarò persuaso e vinto. Il Paggi ne fu entusiasta; Leone Orvieto concesse liberamente il finanziamento richiesto dal figlio e Gabriele d’Annunzio, disceso un giorno dalle solate radici della sua Capponcina, ne fu l’alto padrino in una memorabile seduta al caffè Giacosa di via Tornabuoni, quasi accanto alla nuova libreria aperta allora da Roberto Paggi. […] Si trattava di dare al nuovo periodico un nome […]. Io proposi di intitolarlo “Il Giglio rosso” (richiamo a un famoso verso di Dante) (5): Gabriele d’Annunzio affacciò invece “Il Marzocco” dal simbolico leone di Piazza Signoria. Il nome battagliero fu prescelto anche perché più inusitato, e anche per l’autorità grande del proponente» (6).
Forse la proposta del titolo avanzata da D’Annunzio proveniva ancor più dai suoi stessi versi, il poemetto Due Beatrici (v. 53-54) ne La Chimera: «Non sì fiero tenea forse il Marzocco / ne l’unghia l’arme de ‘l vermiglio fiore». Il primo numero del nuovo periodico sarebbe uscito poco dopo, il 2 Febbraio di quel 1896, con il nome bellicoso e il leone donatelliano circondato dagli iris fiorentini, su disegno dell’architetto grossetano Lorenzo Porciatti (7).
In quanto scriveva Garoglio, pur sull’onda di una rievocazione agiografica, c’era del vero. «Il Marzocco» aveva potuto contare su molti collaboratori e componenti della redazione della «Vita Nuova», fondata da Orvieto nel 1889, ai quali si sommavano alcune conoscenze aggiuntesi con l’esperienza de «La Nazione letteraria» (8), il supplemento culturale del quotidiano fiorentino diretto da Angiolo per alcuni mesi nel 1894. Conoscenze fondamentali, in qualche caso: come quella di Angelo Conti, corifeo e implicito mentore di D’Annunzio e fra i più fedeli collaboratori futuri dei fratelli Orvieto. La «Vita Nuova» era vissuta poco più di due anni: come settimanale nel 1889 e 1890, trasformandosi poi in mensile nei i primi tre mesi del 1891. Eppure su quel foglio “minore” aveva scritto Giovanni Pascoli con alcune delle sue prime myricae, aveva scritto Luigi Pirandello, anche lui con interventi poetici, e ancora Federico De Roberto, Enrico Nencioni, Helen Zimmern e Giovanni Marradi, con novelle, poesie, saggi, articoli biografici o recensioni. E vari altri, oltre ai redattori fissi – Giuseppe Saverio Gargano, Diego Garoglio, Andrea Fabris, Orazio Bacci – che ritroveremo più o meno assidui sulle pagine del «Marzocco».

2. Le origini e i collaboratori

Vi erano poi ulteriori collaboratori, figure diverse fra loro nella formazione, nelle competenze, negli ambiti di applicazione dei loro studi, negli orientamenti di pensiero, più che disponibili a aderire a quella testata che reagiva all’eccessivo scientismo e, pur nascendo sotto l’egida di D’Annunzio, non dipendeva totalmente dal Vate: da Ugo Ojetti a Luciano Zuccoli, da Antonio Fogazzaro a Luisa Giaconi, a Vittorio Pica, Domenico Tumiati, Mario Morasso, Enrico Corradini. Come indicano i loro nomi, si passava dalla letteratura alla critica d’arte, dalla poesia al giornalismo nel senso più ampio del termine. Nel primo anno D’Annunzio fu comunque la prima musa ispiratrice, e lo spirito agguerrito con il quale si affrontò la polemica intorno ai suoi presunti plagi, nell’editoriale L’impresa dei Beoti, rivelò gli inconsueti atteggiamenti combattivi della testata. Un aspetto abitualmente assente in altre pubblicazioni che si ponevano su simili posizioni ideali – il potere della bellezza e la dignità dello spirito – come «Il Convito», fondato anch’esso da D’Annunzio e Conti e diretto e finanziato da Adolfo De Bosis.
Ben presto si cercò di ampliare la ristretta cerchia di lettori che avevano contrassegnato la diffusione della «Vita nuova». Allo scopo si bandì nell’Aprile del 1896 il “Concorso per una novella” da pubblicare poi sul periodico, e nell’autunno successivo si promosse un’inchiesta dedicata all'”Arte nelle città italiane”, la prima di tre suggerite dal-la rivista. Le altre due saranno rivolte al rapporto fra letteratura e politica, nel Giugno 1897, e alle opinioni degli stranieri sull’arte e la letteratura italiana, nel novembre. Scopo delle inchieste era di introdurre il periodico in nuovi ambienti culturali, specifici quanto vari fra loro, sia artistici che letterari. «Il Marzocco» presenta infatti, fino dai primi anni, questo carattere eclettico, o meglio poliedrico, poi accentuato dall’inizio del nuovo secolo e interpretato spesso dalla storiografia critica come il maggiore limite della rivista, più che come peculiarità programmatica. Intenzione dei fondatori, come scriverà Angiolo molti anni dopo, era soprattutto dar vita a un «giornalismo letterario» e a una «critica estetica» che rappresentavano allora la «reazione più o meno consapevole all’indirizzo della facoltà di lettere fiorentina» (9), nella quale Orvieto, fino dal tempo dei suoi studi di filosofia antica (10), aveva riscontrato pregi ma anche limiti. Sarebbe stato di fatto un programma aperto a cambiamenti, disponibile a ampliarsi rispetto ai proclami iniziali, pur nel rispetto degli ideali estetici e del processo di rinnovamento culturale contro i limiti del positivismo critico. Si garantiva attenzione alle principali novità dell’arte e della letteratura straniera, anche se non sempre giudicate in positivo, mentre la programmata rivalutazione dell’interpretazione soggettiva di un’opera d’arte non escludeva la dimensione morale. Rinnovamento non significava rottura o trasgressione: anche nel caso di polemiche letterarie o artistiche non si dimentica la società civile, il pubblico al quale «Il Marzocco» intende rivolgersi. Si guarda ai tempi e ai cambiamenti in atto intuendone con tempestività le tendenze, cercando di orientarle più che provocarle o imporle. La stessa origine ebraica del fondatore – Angiolo nella rievocazione dei primi anni ’50 scriverà che il periodico «passava per giornale ebraico» (11) – implicando il preciso percorso storico-sociale compiuto dalla “Nazione ebraica” nel corso dell’Ottocento e la posizione civile acquisita dagli Orvieto, tratteneva dall’assumere posizioni avventate: vocazione del «Marzocco» negli anni è di farsi sempre più specchio dinamico della borghesia colta cittadina. A fine secolo, conclusa da più lustri l’esperienza della Capitale d’Italia, Firenze cerca ancora nell’ambito e nei modelli culturali una identità che non la releghi a rievocazioni del passato e insegue modi non strettamente politici per sostenere la propria italianità e amor di patria.
La rivista si rivolge dunque a un certo mondo, ne intuisce gli spunti positivi e gli interessi. Se alcune caratteristiche variano soprattutto con l’avvicendarsi delle direzioni, non possiamo considerar-ne estraneo il cambiamento di tendenze e di gusti nella società fiorentina. È così per l’attenzione dedicata inizialmente alle esperienze poetiche, assai care a Angiolo, che già durante la direzione di Enrico Corradini lasciano maggior spazio al mondo del teatro (12), poi rilanciato a partire dal 1901 da Adolfo Orvieto, anche lui critico drammatico e appassionato di rappresentazioni sceniche. In quel periodo infatti le pièces di autori di rilievo o particolarmente amati si moltiplicavano, coinvolgendo la partecipazione sociale e le cronache letterarie. Qualcosa di simile avverrà per i dibattiti sull’assetto urbanistico di Firenze e la pianificazione di restauri e rinnovamenti urbani, tornati alla ribalta all’inizio del nuovo secolo con lo sviluppo dei nuovi quartieri al di là dei viali di circonvallazione. Adolfo Orvieto, allora direttore del periodico, si farà ben presto coordinatore della “Brigata degli amici dei monumenti”, un gruppo associazionistico che trovava sulle pagine della testata lo spazio per una opportuna riflessione artistica ed estetica.

3. Difficoltà economiche e avvicendamento di direzioni

Se, con un passo indietro, torniamo alla cronaca istituzionale del «Marzocco» e ne seguiamo vicende e umori negli anni prossimi al passaggio fra i due secoli, ci accorgiamo che già il 1897 mostra più di un aspetto critico. Le iniziative per conquistare nuovo pubblico, come le inchieste fra i lettori, non avevano raggiunto gli esiti sperati; i problemi economici continuavano a gravare sulla gestione del «Marzocco», tanto che Angiolo decideva di affidarne la direzione a Corradini, rivelatosi l’elemento più concreto della redazione. La difficile situazione finanziaria dell’editore Paggi, già evidente nell’estate in tutta la sua gravità, si sommava al bilancio negativo delle vendite, spesso provocato dalla sua pessima distribuzione anche in importanti delle città italiane (13); causava inoltre continui ritardi nella stampa dei volumetti della collana “Multa renascentur”. Era questa una iniziativa editoriale che affiancava il «Marzocco», proposta da Angiolo e accolta con grande entusiasmo da Roberto Paggi: vi si stavano pubblicando proprio allora i Poemetti di Pascoli, da offrire in dono agli abbonati per l’anno 1898 in alternativa all’Allegoria dell’autunno di D’Annunzio (14). Il fallimento dell’editore nel mese di agosto, l’intervento degli avvocati e di una commissione di vigilanza rischiarono di interrompere repentinamente la stessa uscita del periodico, oltre alle pubblicazioni della collana (15). Fu allora che intervenne la famiglia Orvieto: dal numero 33 del 19 settembre «Il Marzocco» fu rilevato a nome di Angiolo. La transazione della proprietà sarebbe stata sancita ufficialmente da un atto privato redatto il 13 dicembre 1897 (16): gli Orvieto, e in particolare il padre Leone, si facevano carico della pubblicazione regolare del «Marzocco». La collana “Multa renascentur” invece, rimasta nominalmente a Paggi, veniva interrotta; le prime opere soppresse, per quanto programmate, furono L’arte mondiale a Venezia di Vittorio Pica, che si rivolse con successo ad altro editore (17), e la raccolta L’Anima e il sogno, della poetessa Luisa Giaconi, che viceversa non sarà mai più pubblicata. Come sappiamo una antologia dei versi di Luisa vedrà la luce soltanto postuma, nel 1909, per iniziativa di Giuseppe Saverio Gargàno (18).
I collaboratori di più ampio consenso, come allora Vittorio Pica e più ancora Ugo Ojetti, erano da mesi indignati per la scarsa circolazione di una rivista che aveva molti estimatori e tutti i numeri per aspirare a maggior successo, mentre rischiava di chiudersi in sé stessa e di perdere le migliori firme. Una situazione che, a fianco del cambiamento di proprietà, rendeva necessario un rilancio generale; a cominciare dall’impostazione grafica e dalla testata di Porciatti, più volte criticata dai colleghi del mondo artistico (19). Era il momento di rinnovarla: scartati Giovanni Mario Mataloni, suggerito da Pica, e Giuseppe Cellini, ci si rivolse – tramite Angelo Conti, e grazie ai suoi stretti contatti con Venezia (20) – a uno degli artisti più in voga del momento, Mariano Fortuny, ormai da anni naturalizzato veneziano. Fortuny escluse ogni possibilità di riprodurre il leone donatelliano (21): la scelta cadde quindi su un elegante fregio decorativo, da lui disegnato con meticoloso tratteggio, pari al rigore delle indicazioni per una perfetta realizzazione grafica (22). Anche la carta fu rinnovata, con la scelta di fogli più pregiati, mentre il “marzocco” rimaneva rappresentato soltanto in un piccolo, raffinato timbro da apporre sul bordo, in calce alle pagine. In sostituzione della collana “Multa renascentur”, sul cui motto il Paggi aveva mantenuto i diritti, ne fu creata una nuova, dove il nome del periodico era accompagnato dal motto eschileo «assumere modi nuovi», stampato con gli originali caratteri greci, poi adottato anche nel “timbro” della rivista e usato per la carta intestata della direzione e redazione (23).
Ma la situazione interna non era tranquilla. I rinnovati interessi poetici di Angiolo, il lungo viaggio da lui compiuto intorno al mondo nel 1898 e i preparativi per il matrimonio lasciarono «Il Marzocco» in gran parte affidato al solo Corradini, assistito per la parte amministrativa dall’avvocato Pirro Masetti. La personalità esuberante e la linea operativa scarsamente incline al compromesso del futuro fondatore de «Il Regno» non erano le migliori qualità per creare in redazione un clima collaborativo. Screzi e polemiche si fecero sempre più consistenti ed ebbero come prima conseguenza le dimissioni di Ugo Ojetti, già più volte annunciate, e un vero e proprio ripudio da parte di Vittorio Pica, che considerava la nuova linea origine di imminente decadenza.
Ciò nonostante il biennio 1899-1900 si presenta, a una lettura odierna, fra i più vivaci e rappresentativi della vita della rivista. In primo luogo per la conferma della assidua collaborazione di Pascoli e per la presenza indiretta – con pubblicazioni di stralci lirici o presentazioni critiche – di D’Annunzio e delle sue nuove opere.
Quindi per il ruolo emblematico che veniva ad acquisire la memoria di due personaggi immaturamente scomparsi, dissimili fra loro ma che riassumevano entrambi nelle loro opere i principali caratteri dell’estetismo: Enrico Nencioni e Giovanni Segantini. Nel corso del 1899 si chiuderà la sottoscrizione per il monumento in memoria di Nencioni, promossa dal «Marzocco» nell’agosto 1897, un anno dopo la sua morte; il busto, affidato allo scultore Attilio Formilli, fu inaugurato sulla tomba del poeta, a S. Felice a Ema, il 9 Maggio 1900, con vasta eco sulle colonne della rivista. Quanto a Segantini, morto nelle sue montagne nel settembre 1899 e che aveva collaborato al periodico con alcuni scritti sull’arte, gli fu subito dedicato, l’8 ottobre, un numero unico che si apriva con i versi delle Laudi scritti in sua memoria da D’Annunzio; e quindici giorni dopo lo si celebrava ancora con liriche e articoli di vari collaboratori. Sarebbe stato commemorato anche sul piano privato da Angiolo e Laura, che in novembre compivano una sorta di pellegrinaggio, prima all’esposizione milanese intitolata all’artista, poi al piccolo cimitero del Maloja e in visita alla famiglia. Momenti enfatizzati nello scambio epistolare del periodo con amici e colleghi come nelle pagine di appunti di cronaca sulla visita al Maloja lasciati dalla stessa Laura (24).
A fine novembre del 1899 proprio l’interpretazione critica delle Laudi dannunziane venne a porsi come arena di confronto fra Enrico Corradini e Angelo Conti. I rispettivi articoli furono pubblicati entrambi, ma era chiaro che quell’antagonismo sulle pagine di uno stesso settimanale non poteva trascinarsi a lungo. Da un lato vi era il direttore, che rivendicava per sé un ruolo esegetico prioritario, dall’altro il “doctor Mysticus”, che proprio allora si dedicava al compimento de La beata riva, sintesi della concezione estetica dannunziana, di imminente pubblicazione presso Treves proprio con la prefazione del Vate (25).
Meno di due mesi dopo lo stesso Angiolo Orvieto fronteggiava Corradini, che aveva dissentito apertamente con l’interpretazione morale nel giudizio di un’opera d’arte, ravvisata in un articolo su Resurrezione nel numero unico dedicato a Tolstoi (26). La proprietà temeva già da varie settimane che i suggerimenti editoriali del direttore, più volte considerati impudenti, comunicassero al pubblico una immagine distorta dei principi ispiratori del periodico (27): dopo una concitata discussione, riassunta da Laura con la consueta vivacità narrativa, Corradini lasciò il «Marzocco» (28).
Si sarebbe indirizzato alla «Gazzetta di Venezia», pur mantenendo saltuari contatti con la testata fiorentina. Angelo Conti, e soprattutto D’Annunzio, furono i primi a rallegrarsi della sua partenza.

4. Il pragmatismo di Adolfo e il «sistema culturale» degli Orvieto

Nel corso dell’anno 1900 i due fratelli Orvieto condivisero, almeno nominalmente, la direzione del «Marzocco». Di fatto era già Adolfo a dirigere il periodico: che dal 1901 e fino al 1932 proseguirà sotto la sua conduzione, con l’eccezione di limitati intervalli durante la Prima guerra mondiale (29).
Il rinnovamento del quale Adolfo si fa artefice non è immediato; durerà circa un lustro e sarà progressivo. Il minore degli Orvieto era rimasto estraneo al circolo estetico dei «nobili spiriti» e ai loro orientamenti letterari. Aveva frequentato giurisprudenza a Roma, laureandosi nel 1893; rientrato a Firenze si era dedicato all’attività di avvocato nello studio di Giovanni Rosadi, a fianco di Pirro Masetti. Lontano, fino al 1900, da ogni proposito di dirigere una rivista culturale, assume quel compito senza opporsi alle scelte della conduzione precedente, ma nemmeno intendendo rilanciare gli idealismi del programma del 1896. La sua gestione si pone invece come essenzialmente imprenditoriale, tale da garantire alla proprietà Orvieto almeno un pareggio di bilancio e mantenere, se non accrescere, le simpatie dei lettori fiorentini. La maggiore eterogeneità di temi e firme rafforzerà il carattere eclettico, mentre viene confermandosi l’attenzione alla tradizione storica, che potrà contare su iniziative di cui «Il Marzocco» si farà promotore – come la già citata “Brigata degli amici dei monumenti” – condivise dal pubblico e in grado di coinvolgerlo.
Uno dei primi obiettivi di Adolfo è dunque un nuovo e più solido assetto finanziario nella conduzione del settimanale. Ben presto si eliminano le uscite più dispendiose: si ritorna a una carta più povera; si riduce il formato, adeguandosi a quello di alcuni quotidiani, come «La Tribuna»; si dà ampio spazio agli inserti pubblicitari. Si favoriscono gli abbonamenti cumulativi, già esistenti ma ora potenziati, in combinazione con quotidiani dell’intera penisola: da «La Nazione» a «La Tribuna», da «La Stampa» a «Il Caffaro» e «L’Adriatico». E, elemento di immediato impatto visivo, si abolisce il fregio di Fortuny (30) adottando la sobria testata costituita dal solo titolo, che resterà tale fino al 1932. Tuttavia, per non cambiare totalmente rotta dalle originarie scelte estetiche e non rischiare di allontanare altri autorevoli e fedeli collaboratori, Adolfo affiderà all’estro di Adolfo De Carolis (31) il bel manifesto pubblicitario per l’anno 1902, decidendo anche di offrire in dono agli abbonati piccoli oggetti in terracotta della Manifattura di Signa, opificio allora in grande ascesa per le pregevoli riproduzioni d’opere d’arte rinascimentali (32): quei pres-se-paupier si facevano così un garbato simbolo di appartenenza al cenacolo marzocchino (33).
«La mia idea di fare il vero giornale, lontanissimo dal tipo abusato della rivistina, ottiene, parmi, sempre più largo favore. Anche nel pubblico», aveva scritto Adolfo a Pascoli all’inizio del 1901 (34).
Il periodico darà sempre più ampio spazio a cronache di avvenimenti culturali, drammatici e musicali non solo fiorentini, ma dell’Italia tutta, con il sottinteso disegno di estensione programmata delle vendite fuori dalla Toscana. Per rendere più vario e accattivante il tono delle pagine, negli anni successivi ci si propone di inserire riproduzioni di disegni di artisti (35) come Domenico Trentacoste o Henry de Groux. E ancora, blande vignette satiriche, come quelle di Libero Andreotti del 1904, dedicate all’insuccesso della ‘prima’ di Madama Butterfly e alla caduta di un tratto delle mura di Spoleto, da collegarsi nuovamente al saldo interesse per la conservazione dei monumenti. Molti e vari sono i temi sui quali il settimanale offre con continuità ragguagli che non si limitano alla pura cronaca, pur senza attestarsi su posizioni di principio ma in-crociando il punto di vista della platea più fedele. Così era stato fin dall’inizio per le esposizioni artistiche, dalle Promotrici di Torino alle Biennali di Venezia alle mostre di Roma: né poteva essere diversamente con collaboratori come Ugo Ojetti e Vittorio Pica nei primi anni, poi con Mario Morasso, Diego Angeli, Domenico Tumiati o Pier Ludovico Occhini (36).
Tuttavia procedendo nel corso del Novecento «Il Marzocco» tenderà a farsi sempre più strumento di informazione e sempre meno propugnatore di particolari posizioni critiche o speculative. Eppure anche in questo nuovo orientamento, con i suoi tempestivi riepiloghi dei principali eventi in ambito artistico, letterario, drammatico o musicale presenti a Firenze e in Italia e non raramente in altri paesi, «Il Marzocco» dei primi lustri del Novecento rappresenta oggi una fonte indispensabile per gli studi sul-la coeva attività culturale della penisola e le relative ripercussioni sul pubblico. Al di là degli editoriali e dei veri e propri articoli, le cui opinioni seguono in linea di massima gli indirizzi suggeriti dagli Orvieto e dai loro più stretti collaboratori, gli aggiornamenti offerti in sequenza nelle collaterali colonne dedicate alle Notizie, alla Bibliografia, ai Marginali forniscono un quadro dettagliato e puntuale di molti orientamenti culturali, di personaggi e opere molto spesso caduti nell’oblio con il trascorrere dello scorso secolo.
«Il Marzocco» di quegli anni si trasforma anche nell’elemento dinamico di un sistema più ampio e articolato, nel quale è presente sia come animatore che come cassa di risonanza, in un ruolo sinergico decisamente novecentesco. Entrano infatti in gioco, indirettamente, le contemporanee iniziative di associazionismo civile promosse da Angiolo, pronte a coniugarsi con molti temi da presentare sulle pagine della rivista. Il cui fondatore, una volta lasciata la direzione, aveva comunque mantenuto una particolare intraprendenza culturale in ambito cittadino, vissuta con sincera passione e senso di responsabilità. Mentre lavorava con entusiasmo ai libretti per le musiche operistiche di Giacomo Orefice, nei primi anni del secolo – tenendo contatti anche con Umberto Giordano e lo stesso Giacomo Puccini – e si dedicava solo saltuariamente alla poesia, Angelo era ben lontano dal trascurare le opportunità di rinnovamento attivo dell’ambiente fiorentino. Si tenne nel 1902 al “Poggiolino” la riunione in cui, dopo scambi di idee con Guido Biagi e Giulio Fano, fu deciso di fondare la Società Leonardo da Vinci (37), una associazione-circolo per risvegliare una città che appariva loro un po’ addormentata e permettere agli artisti, ai letterati, agli uomini di pensiero di riunirsi in un luogo che non fosse il Casino Borghese o il Circolo dell’Unione. Alla Leonardo si discuteva, si proponevano temi, si organizzavano conferenze o cicli di letture; forse lo spirito non era troppo lontano da quello con il quale Giovan Pietro Vieusseux aveva fondato il suo Gabinetto scientifico letterario, poco meno di un secolo prima. Più volte i temi affrontati erano accompagnati da articoli sul «Marzocco» che, riprendendo l’argomento, commentavano le iniziative: è così per certi cicli di conferenze, come quello sul Pensiero moderno nelle scienze, nella letteratura e nell’arte, del 1904, o l’altro, dedicato a Leonardo da Vinci, nel 1906. In alcune occasioni le posizioni non collimano, ma la discussione passa comunque dalle sale di Palazzo Corsi, sede della Leonardo, alle pagine del periodico. Come per la questione del monumento a Vittorio Emanuele II a Roma, quando la critica artistica di Emilio Cecchi (38) all’opera scultorea divergerà sensibilmente da quella dell’associazione, per la quale la statua, confermandosi espressione di arte italiana, ribadiva comunque il significato di sacrario laico dell’insieme architettonico. Così, con spirito più o meno concorde, la rivista parteciperà più volte alla promozione e all’organizzazione di iniziative sostenute da altre associazioni, come la Società Dantesca o la Società per lo studio della Libia.
Nel 1908 nasceva anche la Società per la ricerca dei papiri greci e latini in Egitto, quasi una filiazione della Leonardo da Vinci: ancora su proposta di Angiolo, questa volta a fianco di Gerolamo Vitelli. L’iniziativa ebbe origine da una conferenza tenuta presso l’associazione da Bernard Grenfell, che aveva parlato delle sue scoperte di papiri greci e latini in Egitto: i famosi papiri di Ossirinco. Da qui l’attenzione e le proposte concrete di Orvieto per un progetto nazionale di ricerca papirologica in grado di competere con quelle tedesche e inglesi. Grazie alla promozione di soci qualificati e a una campagna di sottoscrizioni volontarie, sollecitata anche tramite la testata, sarà cofinanziata una rilevante spedizione per l’acquisizione di papiri, di cui Girolamo Vitelli sarà uno dei protagonisti e Evaristo Breccia, allora direttore del Museo di Alessandria, il suo braccio destro in grado di fornire pronte segnalazioni e suggerimenti. E, come prevedibile, il 2 gennaio del 1910 sulle pagine de «Il Marzocco» (39) Vitelli dava ampia risonanza a tutta la campagna di scavi e ai risultati ottenuti negli ultimi due anni (40). Proprio intorno al 1910 Angiolo proporrà poi il ripristino del Teatro romano di Fiesole per rappresentarvi opere classiche, un’idea di cui si era parlato sul «Marzocco» fino dal 1902 (41). Grazie agli interessamenti in un primo tempo di Eleonora Duse e indirettamente del banchiere Mendelsohn (42), poi della Società Atene e Roma, di Ettore Romagnoli e della compagnia di Gustavo Salvini, il progetto poté realizzarsi a partire dal 1911. Quell’anno fu messo in scena l’Edipo re, quindi l’Oreste, nel 1913 Le Baccanti – di cui Romagnoli curò traduzione e allestimento (43) – infine, nel 1914, l’Aminta con musiche scelte e strumentate da Ildebrando Pizzetti. «Il Marzocco» dedica-va ogni volta ampio spazio agli spettacoli e alla fortuna del recupero dell’antico luogo drammatico. Rimanendo in ambito classico e guardando a contesti paralleli è fondato supporre che anche l’o-pera di maggior successo di Laura Orvieto, le Storie della storia del mondo. Greche e barbare, elaborata in quegli anni e pubblicata proprio nel 1911, abbia trovato ispirazione e un input sostanziale, oltre che nelle tante letture della scrittrice (44), in tutto questo rinnovato interesse per il mondo classico. Ne aveva fatto cenno anche Ermenegildo Pistelli quando, in un articolo del dicembre 1910 intitolato Propaganda classica per i ragazzi, ricordava che Laura, parlando con lui di progetti destinati al classicismo aveva esordito: «Ma se cominciassimo […] dai ragazzi? Quali ‘storie’ più belle, più fantastiche, più attraenti anche per loro, di quelle che racconta Omero?» (45).
Alla luce di questo sistema culturale e del ruolo che vi giocavano gli Orvieto e «Il Marzocco», vale la pena rileggere il giudizio sulla testata di Giuseppe Prezzolini. “Giuliano il Sofista”, nel 1909, aveva espresso sincero apprezzamento per la conduzione di Angiolo, usando invece parole sprezzanti per quella di Adolfo, accusato di non aver saputo mantenere la passione ideologica iniziale e di voler soltanto compiacere il pubblico, invece di cessare coraggiosamente le pubblicazioni. In effetti siamo di fronte a due concezioni opposte dell’idea di periodico culturale: Prezzolini lodava gli ideali, gli entusiasmi aristocratici, gli ardori, i misticismi, la giovinezza e la «sincerità aperta e magari imprudente» che accompagnavano i primi anni della rivista, tanto da definire Angiolo poeta non nei suoi libri di versi, ma «nella sua azione» (46), cioè nelle iniziative pubblicistiche. Mentre si vedono nella conduzione del fratello soltanto «allettamenti giornalistici di notizie» e bisogno di interessare i lettori «per la voglia di aumentare la diffusione, non già creando un nuovo pubblico, ma adattandosi ai suoi gusti» (47). In realtà Angiolo, abbandonati gli entusiasmi dei primi anni, aveva continuato ad operare in ambiti paralleli, con quei progetti che spesso affiancavano, agevolandola, la direzione dell’avvocato Orvieto. Il cui obiettivo era proprio una testata specchio della società colta fiorentina, nella quale i due fratelli Orvieto e la loro cerchia di amici continuavano a muoversi e operare, sia pure in termini meno chiassosi e abbandonando ruoli pioneristici.

5. La Guerra e oltre

Sono ben note le posizioni interventiste del «Marzocco» già al momento della Guerra di Libia e, più ancora, nell’anno di preparazione alla Prima guerra mondiale. Punti di vista intimamente legati a un rinnovato senso di impegno patriottico, nel quale la famiglia Orvieto si sentiva coinvolta moralmente. L’obiettivo era quello di una italianità da confermare e ribadire, come già avvenuto per la loro e molte altre famiglie ebree in momenti storici precedenti, a partire dalla raggiunta eguaglianza civile al tempo della Repubblica Cisalpina, poi soprattutto con l’attività militare e civile durante il Risorgimento.
A partire dal dopoguerra «Il Marzocco» si rivolgerà sempre più spesso a un passato storico più lontano. Forse, soprattutto per le collaborazioni di Angiolo, si trattò anche di una scelta che permetteva di eludere aspetti della politica culturale coeva non sempre condivisi (48). Saranno allora affrontati sulle colonne della rivista ambiti di interesse che, col passar degli anni, si facevano sempre più importanti sia per il direttore che per il fondatore del «Marzocco». Come le biblioteche e gli archivi, sia come luogo di custodia di fonti storiche che per le vicende della loro costituzione e organizzazione. Proprio in quegli anni, nei quali Adolfo inizia a costruire con passione la propria biblioteca, l’Adolfiana, Angiolo entra a far parte della Commissione che definisce il non facile passaggio del Gabinetto Vieusseux da ente privato a struttura connessa al Municipio fiorentino: una lunga fase costituente della quale fu uno dei artefici, cercando di garantire le peculiarità storiche e scientifiche dell’Istituzione. Angiolo si impegnerà a lungo anche in ricerche nelle biblioteche fiorentine, non soltanto per approfondire le vestigia rinascimentali del mondo ebraico (49), ma dedicandosi anche con particolare attenzione alle opere di memorialisti e storiografi (50). Ne sarebbero derivati numerosi articoli di argomento artistico per i secoli 17. e 18., in particolare le biografie di Giovanni Camillo Sacrestani e di Francesco Baldinucci, personalità fino a quel momento mai studiate (51). Saranno affrontati più volte sul «Marzocco» i caratteri dei vari archivi pubblici e privati, ci si occuperà delle indagini più aggiornate su eventi rilevanti per il passato della penisola, si parlerà delle biblioteche come centro di ricerche per la storia nazionale e saranno chiamati a collaborare esperti come Antonio Panella (52), futuro direttore dell’Archivio di Stato fiorentino. Domina l’attenzione per i padri d’Italia: anche prima e dopo la conclusione delle celebrazioni dantesche del 1921 l’Alighieri e la sua opera sono uno degli argomenti ricorrenti sulla rivista. In questo 2021, che commemora ancora un centenario del Poeta, riscoprire quanto Dante sia rimasto per anni al centro dell’attenzione del «Marzocco», con rinvii, citazioni e articoli, può essere una inattesa scoperta.
Di fronte a questa affezione, al manifesto zelo per la storia d’Italia e la sua celebrazione, ancor più colpisce l’accorato rammarico con il quale Adolfo, il 17 novembre 1938, è costretto a ripercorrere l’intera parabola del periodico, difendendone le scelte e sforzandosi di legittimare il proprio operato di direttore di fronte alla Commissione demografia e razza: «Quando si ricordi che il Marzocco fondato come si sa nel 1896 da mio fratello Angiolo Orvieto, dopo una breve direzione Corradini ed una breve condirezione dei fratelli Orvieto, fu dal 1901 fino alla cessazione delle sue pubblicazioni (1932) diretto da me, si troverà naturale che io senta il dovere e quasi il bisogno di illustrare sia pur brevemente l’opera da me spiegata in questo trentennio di direzione […] sarei reticente e insincero se non convenissi che tornando col pensiero su questa mia fatica trentennale e sui resultati ottenuti non ammettessi di provare un senso di viva e profonda compiacenza […] Quando sei anni or sono Il Marzocco pose termine alle sue pubblicazioni fra parole di lusinghiero omaggio al Periodico pur di così lunga vita, si accennarono dubbi sulle ragioni di questa cessazione che gli estranei chiamavano improvvisa e che invece era stata preordinata da tempo e che in verità non avevano nulla di misterioso, come quasi subito fu fatto sapere. Dopo trent’anni di fatiche, che col trascorrer del tempo si erano venute aggravando piuttosto che attenuando, esposto a vedermi crescere di giorno in giorno i compiti redazionali, poiché intorno a me erano spariti non pochi cooperatori tra i più fervidi ed operosi, io non mi sentii più la forza di continuare nell’impresa, mentre non potevo d’altra parte dissimularmi che il ciclo del Marzocco fosse in certo modo concluso. Queste e non altre le ragioni che esposi all’allora Prefetto di Firenze quando ebbe a rivolgermi i più pressanti e lusinghieri inviti perché io desistessi dal proposito pur così ben motivato» (53).
Conosciamo tutti quale fosse il contesto in cui Adolfo scriveva. Mancano tuttavia fonti esplicite che smentiscano l’ultima frase sopra citata e avvalorino le probabili pressioni governative fatte a suo tempo sul «Marzocco» per convincerlo a proseguire la sua avventura come portavoce del regime (54). Nel 1938 le priorità, per gli Orvieto, erano ormai altre; presto sarebbe stata in gioco la loro stessa vita. E sappiamo che per Adolfo, che più del fratello si era illuso sul regime, alla fine della guerra, pur sopravvissuto, sarà impossibile essere nuovamente quello di prima (55).

 

Note
1. De «Il Marzocco» esistono Indici analitici in 2 volumi, per autore e per soggetto, a c. di Clementina Rotondi, Firenze, Leo S. Olschki, 1980; in Appendice al v. 2. sono raccolti anche gli Indici della «Vita Nuova» e de «La Nazione letteraria», periodici diretti in precedenza da Angiolo Orvieto. Del primo decennio del «Marzocco» esisteva già un indice dizionario: Indici del Marzocco 1896-1905, a c. di Giuseppe Ulivi e Antonio Panella, Firenze, Vallecchi 1937: i volumi successivi, già composti, rimasero a livello di bozze più o meno perfezionate, probabilmente per l’emanazione delle leggi razziali; sono oggi conservati, con l’archivio del periodico, nel Fondo Orvieto, presso l’Archivio Contemporaneo ‘A. Bonsanti’ del Gabinetto G.P. Vieusseux (d’ora in poi: ACGV). Uno dei testi di maggior ausilio per comprendere l’ambiente de «Il Marzocco» e lo spirito dei suoi collaboratori è ancora oggi GIANNI OLIVA, I nobili spiriti, Roma, Minerva italica, 1979. Agli anni della direzione di Enrico Corradini aveva già intitolato uno studio ROSARIO CONTARINO, Corradini e «Il Marzocco», «Siculorum Gymnasium», 30., 1977, n° 2, Luglio-Dicembre. Il periodico e il suo archivio furono al centro di una mostra e di un convegno del Gabinetto Vieusseux nel 1983, accompagnati rispettivamente dal catalogo: Il Marzocco. Carteggi e cronache fra Ottocento e Avanguardie. Mostra documentaria, coordinata da Caterina Del Vivo, catalogo a c. della stessa e Marco Assirelli, Firenze, tip. C. Mori, 1983 (con materiali tratti dal Fondo Orvieto in ACGV; d’ora in poi: Catalogo Il Marzocco), e dagli atti: Il Marzocco. Carteggi e cronache fra Ottocento e Avanguardie. Atti del Seminario di Studi, a c. di C. Del Vivo, Firenze, Olschki, 1985.
2. MARIO PRAZ, Il Marzocco 1896-1932, «L’Illustrazione italiana», 60., 1933, n° 2, 8 Gennaio, p. 60-62.
3. Lo stipetto era un dono dei più stretti collaboratori del «Marzocco» a Angiolo e Laura Orvieto per il loro matrimonio, nell’Ottobre 1899. Il leone ligneo sovrastava un cassetto contenente una sorta di album a fogli sciolti, in precedenza distribuiti ad amici e collaboratori e da loro usati per componimenti di vario genere, da offrire nell’occasione: poesie e prose ma anche disegni, pastelli, brani musicali. Fra i nomi, 41 in tutto, quelli di Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio, Luigi Pirandello, Giovanni Segantini, Giuseppe Pellizza da Volpedo. Nonostante la perdita dello stipetto (del quale restano nel Fondo Orvieto 4 fotografie, consegnate dalla nuora di Angiolo, Adriana Guasconi Orvieto) fu conservato il «Quaderno di nozze», ora in ACGV, F. Or. 4.10.2.
4. Sulla «Vita Nuova» e i suoi collaboratori si veda Catalogo Il Marzocco, p. 21-37, nonché l’intervento di COSIMO CECCUTI, Gli Orvieto a Firenze fra ‘800 e ‘900: dalla «Vita Nuova» al «Marzocco», in Il Marzocco. Carteggi e cronache […]. Atti del Seminario di Studi, cit., p. 37-55.
5. Forse anche, aggiungiamo noi, al libro omonimo di ANATOLE FRANCE, Le Lys rouge, Paris, Calmann Levy, 1896.
6. D. GAROGLIO, Com’è nato e come è morto «Il Marzocco», «La sera», 3 Febbraio 1933. Seguì un mese dopo: ID., Sviluppi e valori storici del «Marzocco», «La sera», 22 Marzo 1933.
7. Lorenzo Porciatti (Cana 1864 – Grosseto 1928), pressoché coetaneo dei fondatori del periodico, aveva studiato all’Accademia di Belle arti di Firenze e sarebbe stato ricordato sia per la sua attività di restauratore che per le opere di architetto eclettico, neogotico e art-nouveau. Suo il Palazzo comunale e altri edifici pubblici e villini a Grosseto.
8. Catalogo Il Marzocco, p. 21-37. Sulla prima attività editoriale di Angiolo in generale si veda anche M. ASSIRELLI, C. DEL VIVO, Gli Orvieto, dalle prime riviste alla prima guerra mondiale, e C. CECCUTI, Gli Orvieto a Firenze fra ‘800 e ‘900, cit., ambedue in Il Marzocco. Carteggi e cronache […]. Atti del Seminario di Studi, cit., rispettivamente p. 9-15 e p. 39-43.
9. AN. ORVIETO, “Storia del Marzocco” [Rievocazione fatta per la Società Leonardo da Vinci], cap. I, c. 32 non f.te, ACGV, F.Or. 4, qui da Catalogo Il Marzocco, p. 46.
10. Angiolo si era laureato in filosofia classica nel 1895 con una tesi su Senofane di Colofone, relatore il prof. Felice Tocco.
11. Tanto che «non solo d’Annunzio, G.S. Gargàno, e G.A. Fabris e Pietro Mastri, ma era creduto ebreo persino Diego Garoglio, libero pensatore, è vero, ma di famiglia piemontese cattolicissima» (AN. ORVIETO, “Storia del Marzocco”, cit.). Tuttavia le tematiche affrontate dal periodico negli anni mostrano raramente specifici rinvii alla tradizione e al mondo ebraico.
12. Enrico Corradini fu direttore dalla fine del 1897 all’inizio di Febbraio 1900: ma già dal Novembre 1899 erano emersi dissidi interni.
13. Sembra non fosse distribuito nemmeno presso i rivenditori di Bologna: cfr. la lettera di Enrico Corradini a Angiolo del 22 Luglio 1897, Catalogo Il Marzocco, p. 56-57.
14. Già erano stati pubblicati il Tiepolo di Pompeo Molmenti, Frate Angelico di Domenico Tumiati e Santamaura e La Gioia di Corradini.
15. Cfr. le lettere di Corradini a Angiolo dalla fine di Luglio e Agosto – Settembre 1897, Catalogo Il Marzocco, p. 58-59.
16. Dal n° 37 del 17 Ottobre «Il Marzocco» fu stampato presso la Casa editrice Pietro Giovannini, ma in seguito al fallimento anche di questa con il n° 44 ricomparve il nome della Tipografia Franceschini, della quale si era servito lo stesso editore Paggi.
17. Pica pubblicò facilmente il proprio lavoro a Napoli, presso Pierro, nello stesso 1897.
18. Luisa Giaconi, da tempo legata sentimentalmente a Gargàno, scomparve il 18 Luglio 1908.
19. Come Pica e Ojetti: si vedano le lettere di Ojetti e Corradini a Angiolo dei primi mesi del 1897, già in polemica con il disegno dell’architetto grossetano: Catalogo Il Marzocco, p. 53-54.
20. Dove era stato funzionario presso l’Accademia di Belle Arti, 1893-1896.
21. «Je me suis rendu compte de l’extrème difficulté, de l’impossibilité même d’arranger quoi que ce soit avec la silhouette du Marzocco, non ce n’est pas possible, ce lion n’est admissible qu’en sculpture et là où il est; mais en dessin il est impossible» (Mariano Fortuny a Angiolo Orvieto, Venezia, 23 Dicembre 1897, Catalogo Il Marzocco, p. 63).
22. Per la quale si suggerì di rivolgersi agli Studi Alinari (cfr. le lettere in Catalogo Il Marzocco, p. 63). Il disegno, assai pregevole in sé, non era forse il più idoneo per la testata di un periodico, per il suo tratto raffinato e elegante ma non di impatto immediato per gli eventuali acquirenti.
23. Il motto, riprodotto in caratteri greci, è tratto da ESCHILO, Prometeo incatenato, 311. Nel timbro in calce alle pagine della rivista veniva a circondare il leone donatelliano.
24. Si vedano gli stralci conservati fra le carte di Laura Orvieto in ACGV, F.Or. 5, ora in Catalogo Il Marzocco, p. 82-83.
25. La vivace cronaca del contrasto, riportata dalla corrispondenza del periodo, è in parte riprodotta in Catalogo Il Marzocco, p. 84-86.
26. AN. ORVIETO, Resurrezione, «Il Marzocco», 28 Gennaio 1900, p. 3. Corradini replicò, e la polemica proseguì in altri quattro articoli.
27. Così era stato, ad esempio, per l’articolo di FILIPPO TOMMASO MARINETTI, La tour d’amour, «Il Marzocco», 19. Novembre 1899, p. 3, al quale alludeva Laura.
28. Si vedano ancora le pagine di cronaca di Laura Orvieto dell’inizio Febbraio 1900, in Catalogo Il Marzocco, p. 86.
29. Ci riferiamo in particolare al periodo in cui l’incarico del Ministero del-la Pubblica Istruzione relativo ai Libri ai soldati richiederà maggiore impegno: «Il Marzocco» fu allora affidato ai più fedeli redattori, in particolare a Giuseppe Saverio Gargàno: cfr. CRISTINA CAVALLARO, Adolfo Orvieto e la Delega speciale per i libri ai soldati durante la Grande Guerra, «Culture del testo e del documento», 19., 2018, n° 55, Gennaio-Aprile, p. 5-26.
30. Forse anche per motivi economici: ma non si conosce il tipo di contratto stipulato con l’artista.
31. Che poco più di un anno prima aveva disegnato anche il pomo in argento di un bastone da passeggio donato dagli stessi Orvieto a Giovanni Pascoli, del quale il poeta era rimasto entusiasta (Catalogo Il Marzocco, p. 90).
32. Vincitrice anche di una medaglia all’Expo Universale di Parigi del 1900.
33. Così Roberto Bracco, da Napoli, il 13 Aprile 1900 si dichiarava «lietamente commosso» del dono che lo faceva sentire parte della «famiglia» fiorentina (Catalogo Il Marzocco, p. 86-87).
34. Lettera di Adolfo a Giovanni Pascoli, 11 Gennaio 1901, Catalogo Il Marzocco, p. 112.
35. L’annuncio che «Il Marzocco» avrebbe pubblicato disegni originali inediti di artisti famosi comparve sul numero del 13 Dicembre 1903, p. 1.
36. Il centrale intreccio fra corrispondenza e articoli d’arte è ora ben rilevato nel volume Pellizza e le amicizie fiorentine negli anni del primo «Marzocco», a c. di Luana Carechino, Aurora Scotti e Monica Vinardi, Tortona, Fondazione Cassa di risparmio di Tortona, 2012.
37. Si veda la rievocazione dello stesso Angiolo, nella sua Storia e cronaca della «Leonardo», a c. di Nicola Maggi, con un saggio di C. Del Vivo, Firenze, SEF, 2007.
38. EMILIO CECCHI, Il monumento a re Vittorio, «Il Marzocco», 11 Giugno 1911, p. 1. Per la discussione della questione nella Leonardo cfr. N. MAG-GI, La Società Leonardo da Vinci a Firenze (1902-1922), in AN. ORVIETO, Storia e cronaca della Leonardo, cit., p. LI-LII.
39. G. VITELLI, Società italiana per la ricerca dei papiri greci e latini in Egitto, «Il Marzocco», 2 Gennaio 1910, p. 3.
40. Il ricco e significativo carteggio fra Vitelli, gli Orvieto e «Il Marzocco» è ora in DILETTA MINUTOLI, «Il Marzocco» e la nascita della ricerca dei papiri greci e latini in Egitto nella corrispondenza di Girolamo Vitelli con Angiolo e Adolfo Orvieto (1896-1934), Firenze, Gonnelli, 2017.
41. AUGUSTO FRANCHETTI, Il teatro romano di Fiesole idealmente rinnovato, «Il Marzocco», 21 Dicembre 1902, p. 1.
42. I contatti di Eleonora Duse con il banchiere Mendelsohn, tramite la moglie Giulietta Gordigiani, non portarono risultati per il timore – pare condiviso dagli stessi Orvieto – che l’iniziativa potesse apparire «una cosa tedesca» (L. ORVIETO, Storia di Angiolo e Laura, a c. di C. Del Vivo, Firenze, Olschki, 2001, p. 97).
43. Si veda lo scambio epistolare con Angiolo Orvieto della primavera 1913, in parte in Catalogo Il Marzocco, p. 148-149.
44. Basti qui ricordare che si erano ispirati al mondo classico, ed erano stati letti probabilmente da Laura, opere di Nathaniel Howthorne, Charles Kingsley o Alice Zimmern che da metà Ottocento al primo decennio del Novecento trattano miti classici trattati con uno stile prossimo a quello di Laura: cfr. CARLA POESIO, Laura Orvieto, Firenze, Le Monnier, 1971, p. 52 sgg, e C. DEL VIVO, Molto antichi e sempre nuovi. Storie e mito in Laura Orvieto, «Il Folletto. La rivista dell’Istituto svizzero media e ragazzi», 2017, n° 2, p. 10-12.
45. E. PISTELLI, Propaganda classica per i ragazzi, «Il Marzocco», 18 Dicembre 1910, p. 2. Sul rapporto di Laura scrittrice col mondo classico v. VALENTINA GARULLI, L’ultimo mito. Storie della storia del mondo. Greche e barbare di Laura Orvieto, «Per leggere», 17., 2017, n° 32-33, p. 95-111.
46. GIUSEPPE PREZZOLINI, «Il Marzocco», «La Voce», 1., 1909, n° 20, 29 Aprile. Gli articoli da lui dedicati al «Marzocco» su «La Voce» furono complessivamente tre: al primo fece seguito Gli uomini del «Marzocco», il 13 Maggio, quindi La decadenza del «Marzocco», il 1° Luglio.
47. G. PREZZOLINI, La decadenza del «Marzocco», «La Voce», 1., 1909, n° 29, 1° Luglio 1909.
48. Si pensa alle difficoltà avute da Angiolo nei primi anni Venti, descritte dalla moglie Laura come Prime avvisaglie (di antisemitismo) in L. ORVIETO, Storia di Angiolo e Laura, cit., p. 126-128, e alle stesse ‘disavventure’ della scrittrice sia all’interno del Lyceum che in ambito editoriale (per cui cfr. ivi, p. 126-127 e C. DEL VIVO, «La storia del mondo è fatta di tante storie». Mondo classico e tradizione ebraica nella narrativa di Laura Orvieto, «Antologia Vieusseux», 2009, n° 43, Gennaio-Aprile, p. 5-34: 7-9.
49. Dalle quali trarrà origine il contesto storico che fa da sfondo alla raccolta Il vento di Siòn, Firenze, Casa editrice Israel, 1928.
50. Già nel primo dopoguerra Adolfo cominciò a dedicarsi con passione all’Adolfiana, la biblioteca raccolta e curata fino alla sua morte: cfr. Inventario del Fondo Orvieto. Vol. I. Carteggi generali A-B, a c. e con prefazione di C. Del Vivo, Firenze, tip. Polistampa 1994, p. 16-24, e soprattutto C. CAVALLARO, Adolfo Orvieto, il primo nucleo della sua raccolta, il suo catalogo, cap. 4 di EAD., Fra biblioteca e archivio. Catalogazione, conservazione e valorizzazione di fondi privati, Milano, Sylvestre Bonnard, 2007. Per gli studi di Angiolo in quegli anni cfr. anche L. ORVIETO, Storia di Angiolo e Laura, cit., p. 128, 131.
51. Gli articoli uscirono sul «Il Marzocco» negli ultimi due anni di stampa e occuparono varie colonne in prima e seconda pagina nei numeri del 5, 12, 19 e 26 Luglio 1931 (Sagrestani) e 22 e 29 Maggio e 12 Giugno 1932 (Baldinucci), con una appendice nell’ultimo numero del 25 Dicembre, dedicata sia a Francesco che a Filippo (Piero Dandini, i Baldinucci e l’Accademia del disegno).
52. Su Antonio Panella v. FRANCESCA KLEIN, in DBI, v. 80., 2014, <https://www.treccani.it/enciclopedia/antonio-panella_%28Dizionario-Biografico%29/>. Panella collaborò attivamente alla prima fase dell’indicizzazione del «Marzocco», subito dopo la cessazione delle pubblicazioni, e fu referente scientifico di Adolfo nel riordino e nella schedatura dell’Adolfiana.
53. Storia del Marzocco, ds datato «Firenze 17 Novembre 1938», ACGV, F. Or. 3.1.6, parzialmente citato in C. CAVALLARO, La mobilitazione della cultura negli anni della Grande Guerra: Firenze e i “fiorentini”, con un saggio di C. Del Vivo, Manziana, Vecchiarelli, 2019, p. 143-144.
54. Accenni alle aspirazioni del MinCulPop di rilevare il periodico rivedendone i caratteri mi furono fatti verbalmente da Adriana Guasconi Orvieto, nuora di Angiolo, al momento della donazione del Fondo familiare, nel 1980. Manca tuttavia qualsiasi documentazione in merito.
55. Come da testimonianze orali di amici e affini, fra cui quella di Adriana Guasconi Orvieto, Adolfo non accettò mai la realtà delle discriminazioni e delle stesse persecuzioni contro gli ebrei. Fino a quando non fu nascosto fuori Firenze, presso amici, intendeva proseguire la vita abituale, ricordando quanto aveva fatto per il Paese con il suo «Marzocco». Anche al termine della guerra il suo sistema nervoso non si riprese.

 

 

* Caterina Del Vivo, Presidente ANAI Toscana, già Responsabile dell’Archivio storico del Gabinetto G.P. Vieusseux.

Il presente testo riprende il tema di una conferenza nel ciclo di lezioni on line “La Firenze delle riviste”, promosso dal Gabinetto G. P. Vieusseux e dall’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria”.
Estratto dalla rivista internazionale CULTURE DEL TESTO E DEL DOCUMENTO, le discipline del libro nelle biblioteche e negli archivi, Gennaio-Aprile 2021 (n.s. 28)

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