I 75 anni della Repubblica

Gli esordi della Repubblica non sono stati facili. Aveva visto giusto De Gasperi quando aveva propiziato la soluzione referendaria per la definizione della forma dello stato. La scelta riservata all’Assemblea costituente, come previsto dal Decreto luogotenenziale del 25 giugno 1944, sarebbe stata sofferta e dalle conseguenze potenzialmente drammatiche. Era indubbio, infatti, che in Assemblea la Repubblica sarebbe prevalsa, ma con una decisione politica, percepita dall’opinione pubblica come di parte. Rinviare invece la soluzione alla volontà del popolo dava alla scelta un profilo strettamente istituzionale. Il cittadino, categoria comprensiva finalmente e per la prima volta anche della componente femminile, avrebbe fatto una scelta autonoma rispetto all’altra scheda depositata nell’urna elettorale del 2 giugno 1946, con la quale sceglieva la lista e il candidato prescelto.
Certo, restituendo la decisione al popolo si riapriva la partita, perché se l’esito in Assemblea era certo, non lo era altrettanto il risultato referendario. Lo sapeva bene il presidente del Consiglio che era di sentimenti repubblicani. Come, d’altra parte, sapeva bene che la Repubblica sarebbe stata legittimata solo da un voto popolare. Altrimenti gli strascichi delle recriminazioni, delle accuse ai partiti di scelta di parte non corrispondente alla volontà popolare avrebbero potuto delegittimare la Repubblica.
L’andamento del voto referendario e il dopo voto confermò tutto. Anzitutto, la Repubblica vinse, ma non stravinse. Ai 12.718.641 voti per la Repubblica si contrapposero i 10.718.502 voti per la Monarchia. Poi c’erano più di un milione e mezzo di schede bianche o nulle che, secondo l’interpretazione di qualcuno e in particolare di un pool di giuristi dell’Università di Padova, dovevano essere computate come avallo allo status quo, quindi alla Monarchia. Questa lettura, se accettata, avrebbe ridotto lo scarto fra i due fronti a mezzo milione di voti scarsi. Inoltre, per gli stessi giuristi dovevano essere computati fra gli elettori che accettavano lo status quo, quindi la Monarchia, anche coloro che non erano andati a votare. Poiché gli aventi diritto al voto erano 28.002.702, secondo questa tesi il fronte repubblicano, per prevalere, avrebbe dovuto superare i 14 milioni di voti.
Erano letture del tutto pretestuose perché il risultato andava calcolato sulla base dei voti espressi, tanto più che la frequenza al voto aveva sfiorato il 90%. Ma la Corte di Cassazione, che era deputata a proclamare i risultati del referendum, sembrò avvalorarle. Infatti, quando si riunì il 10 giugno per proclamare i risultati si limitò a comunicare i numeri, senza proclamare il vincitore. Si aprirono giorni drammatici, ove si parlò di “rumore di sciabole” provenienti dal Quirinale, anche perché il governo, per superare l’impasse, attribuì a De Gasperi le funzioni di capo dello stato. Il re di maggio, Umberto II, pensò bene di andarsene tre giorni dopo, non senza rilasciare dichiarazioni indegne dei passati meriti risorgimentali di casa Savoia e che il presidente del Consiglio volle ribadire. Solo allora, il 18 giugno, la Corte di Cassazione proclamò ufficialmente la vittoria della Repubblica.
Ma i difficili esordi non finivano qui. La Repubblica aveva vinto, anche se si parlò di brogli elettorali peraltro mai accertati, ma con una divisione territoriale netta. Il centro nord aveva votato in netta maggioranza per la Repubblica, con la punta filo repubblicana dell’Emilia Romagna (77,02%), mentre il sud e le isole avevano dato un suffragio massiccio e maggioritario alla Monarchia, con la punta filomonarchica della Campania (76,49%). Mentre la regione spartiacque era il Lazio, dove i campi si erano divisi giusto a metà, con leggerissima prevalenza (51,37%) alla monarchia. Questa distribuzione territoriale del voto consolidava, anche sotto il profilo della lealtà istituzionale, le due Italie. La questione meridionale si tingeva dunque di nuovi profili, al di là della tradizionale, antica e insuperata asimmetria economica e sociale, che l’aggravavano e che riaprivano la questione della tenuta dell’unità nazionale. Uno dei motivi forti della centralità della Democrazia cristiana nel sistema dei partiti che si veniva delineando risiedette proprio nella capacità del partito d’ispirazione cattolica di operare la mediazione territoriale fra nord e sud del paese grazie a un consenso maggioritario raccolto su tutto il territorio nazionale.
Fu saggezza dei Costituenti, il 28 giugno 1946, eleggere un monarchico dichiarato e napoletano, Enrico de Nicola, come capo provvisorio dello stato. Era il segno della volontà di riconciliazione nazionale dentro i recinti della conquistata Repubblica. Mentre quel volto luminoso ed empatico di giovane donna, dall’identità rimasta a lungo sconosciuta, pubblicato per la prima volta il 15 giugno ’46 sul settimanale “Il Tempo”, diveniva involontariamente l’icona della Repubblica italiana. Per tutti gli italiani è divenuta la Marianna vittoriosa che si lascia alle spalle la tragedia della dittatura, della guerra e della monarchia che ha tradito il Risorgimento e guarda in alto, verso la luce del sole. Buon compleanno Repubblica!

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