LA FUSIONE DEL PERMAFROST E IL RISCALDAMENTO GLOBALE

I ghiacci continentali non sono soltanto costituiti dai ghiacciai locali e dalle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide. Una considerevole quantità di ghiaccio occupa, nelle regioni con temperature medie annue inferiori a -2° C, gli interstizi dei suoli e delle sottostanti rocce fino a profondità che in qualche caso, in particolare in Siberia, possono superare i 1000 m. Durante i mesi estivi, la porzione più superficiale del ghiaccio fonde, laddove si verifichino le opportune condizioni termiche, creando notevoli problemi per la stabilità dei manufatti. Una imprecisata quantità di ghiaccio è infine presente nel sottosuolo dei fondali oceanici artici e antartici come residuo del permafrost formatosi, fino a 20.000 anni fa durante l’ultimo periodo glaciale, quando il livello del mare era oltre 100 m più basso dell’attuale e tali aree, ora sommerse, erano parte della terraferma. Lo stretto di Bering era un ponte lungo il quale cacciatori e raccoglitori siberiani emigrarono e popolarono le Americhe.

Le problematiche ambientali derivanti dalla riduzione del permafrost sono nettamente differenti nelle aree di alta montagna delle medie latitudini, quali le Alpi, e nelle regioni artiche e sub artiche. Per questo è opportuno suddividere in due parti l’analisi dei processi.

Il permafrost delle aree alpine

L’incremento medio globale della temperatura verificatosi nel corso degli ultimi decenni è valutato oggi essere di circa 1°C. Per questo, il limite in altitudine del permafrost alpino si è innalzato di alcune centinaia di metri, con consistenti differenze locali, dovute alla latitudine e all’esposizione dei versanti. Sulle Alpi il limite è attualmente situato a 2400 -2500m slm. Le rocce che hanno perduto la loro impalcatura di ghiaccio sono instabili e conseguentemente esposte ad eventi franosi. Tali episodi sono in via di catalogazione in tutto l’Arco Alpino, ad opera di numerose squadre di ricercatori provenienti da tutti i paesi che condividono l’areale. Per citare solo un esempio, una frana di crollo di tipo “rock avalanche” di 3 milioni di msi è staccata dal fianco sud-orientale della Punta Thurweisern nelle Alpi Centrali. Fra il 2007 ed il 2009, nell’area centrale del Monte Bianco sono state documentate 139 frane di crollo di varie dimensioni. L’abbassamento in altitudine del limite inferiore del permafrost sta creando gravi problemi di stabilità alle infrastrutture connesse all’attività escursionistica e sciistica (rifugi e strutture relative agli impianti di risalita).

Il permafrost delle regioni artiche sub-artiche

Mentre la progressiva riduzione di volume del permafrost di alta montagna costituisce un problema di carattere locale, quella del permafrost di alta latitudine rappresenta una minaccia globale, perché la fusione del ghiaccio interstiziale libera nell’atmosfera anidride carbonica e metano derivanti rispettivamente dall’ossidazione e dalla fermentazione anaerobica del carbonio organico. Fra l’altro, per ragioni inerenti le modifiche intervenute negli ultimi decenni nella ubicazione dei centri di pressione dell’atmosfera, le regioni artiche e sub-artiche hanno subito un riscaldamento che è circa il doppio di quello medio globale. Per una quantificazione del problema, si può ricordare che quantità di carbonio organico del permafrost delle alte latitudini nell’emisfero boreale è stata valutata pari a circa 1.500 miliardi di m3. Il trasferimento di carbonio, indotto dall’attività batterica, dal permafrost boreale all’atmosfera, è valutato in 600.000 t/anno. Gli effetti climatici di questo trasferimento, ancorché difficilmente quantificabili per la complessità dei processi che investono, derivano dal fatto che CO2 e CH4 sono importanti gas ad effetto serra. Riscaldamento terrestre e fusione del permafrost sono legati in un rapporto di feedback positivo: al crescere dell’uno corrisponde un ulteriore incremento dell’altro.

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