Corea. Settant’anni dopo

Ci sono ricorrenze che si calano in un tempo storico aperto: vedi la caduta del muro di Berlino che abbiamo ricordato l’anno scorso. E ricorrenze che ci parlano di un tempo storico chiuso: vedi la fine della grande guerra di cui abbiamo parlato due anni fa. Poi ci sono ricorrenze che concorrono a definire un tempo aperto e un tempo chiuso. È il caso della guerra di Corea che scoppiò giusto settant’anni fa, alla fine di giugno del 1950. Il tempo storico concluso è quello della guerra fredda. Stalin aveva appena subito lo smacco del fallimento del blocco di Berlino, fronteggiato dagli Stati Uniti con il più grande ponte aereo della storia, senza ricorrere all’uso delle armi, e andava cercando la rivincita. La Corea meridionale, quella al di sotto del 38° parallelo, era l’obiettivo giusto, anche perché la penisola, già occupata dai giapponesi durante la seconda guerra mondiale, rientrava nelle aspirazioni di conquista del dittatore sovietico da quando, dopo il lancio americano della prima bomba atomica su Hiroshima, l’URSS era precipitosamente entrata in guerra contro il Giappone. L’occasione era ghiotta per garantirsi senza costi umani e materiali il controllo di immensi territori, a cominciare dalla Manciuria. Poi, nell’agosto 1945 i sovietici cercarono anche di fare l’en plein in Corea. Ma furono fermati dagli Stati Uniti e dovettero sottoscrivere un accordo che limitasse la loro espansione territoriale. Così la Corea fu divisa con un tratto di penna, al 38° parallelo.

Ma Stalin non aveva abbandonato le sue mire e si poteva servire della leadership carismatica di Kim Il – sung per puntare alla conquista totale, anche a fronte della debolezza del governo meridionale di Syngman Rhee. La cronologia è esplicativa. Il 1° ottobre 1949 la guerra civile cinese si era conclusa con la vittoria di Mao. Ma era una vittoria solo parzialmente gradita da Stalin. Certo, se in Cina avessero vinto i nazionalisti gli Stati Uniti avrebbero avuto un potente alleato nel sud est asiatico. Ma la vittoria dei comunisti poneva le premesse della competizione della Cina con la leadership mondiale dell’universo comunista all’Unione Sovietica. Così l’attacco nord coreano a Seul il 25 giugno 1950, su mandato di Stalin, che non si esponeva in prima persona e si limitò ad inviare armamenti all’esercito nord coreano, intendeva cogliere due obiettivi: sottrarre agli Stati Uniti la parte meridionale della Corea ed esporre la Cina di Mao, che era appena giunta alla conclusione di una estenuante guerra civile, alla rivalsa americana. Nelle aspettative staliniane il risultato finale doveva essere l’umiliazione degli Stati Uniti, con conseguente perdita di credibilità nel sud est asiatico, e l’indebolimento politico di Mao.

In realtà, si trattò di un tipico caso di eterogenesi dei fini, come spesso accade nella storia, soprattutto a chi provoca guerre. Al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, per un errore procedurale che colpì il rappresentante sovietico che non fu nelle condizioni di porre il veto, fu deliberato il ripristino dello status quo ante. In pratica, l’aggressore fu condannato come violatore del diritto internazionale e fu approvato il mandato alla comunità internazionale di ripristinare la divisione dei due stati al 38° parallelo. Quindi gli Stati Uniti non intervennero da soli né in modo unilaterale, bensì su mandato internazionale, come accadde nel ’91 con la prima guerra del Golfo in Iraq, a seguito della unilaterale occupazione del Kuwait da parte di Saddam. E questo fu il primo smacco.

Il secondo fu, dopo i successi iniziali delle truppe nord coreane e cinesi, il loro arretramento per il massiccio impegno degli Stati Uniti e dei loro alleati sotto la guida del gen. Mac Arthur. Si venne addirittura profilando uno scenario nel quale gli Stati Uniti avrebbero controllato tutta la penisola coreana.

Il terzo venne dalla saggezza del presidente Truman che si oppose al disegno di Mac Arthur di procedere con l’attacco della Cina anche con l’uso dell’arma atomica e che fu dimissionato dal presidente. Mac Arthur era un mito come vincitore della seconda guerra mondiale sul fronte del Pacifico e appoggiato dai repubblicani. Si venivano fronteggiando due linee di politica estera nei confronti del comunismo: quella del containment adottata dal presidente Truman e quella del roll back che sarà di Eisenhower. Il presidente fece prevalere la sua visione pagando un prezzo politico altissimo. Ma con questo atto Truman confermava di agire all’interno del mandato delle Nazioni Unite e per il ripristino della legalità internazionale.

Il quarto smacco per Stalin infine venne dal successo indiretto ottenuto da Mao grazie al potente concorso dato con le truppe cinesi alla sopravvivenza del regime di Kim Il – sung.

Fine del tempo storico chiuso, quello della guerra fredda. L’arroganza di Stalin era costata almeno due milioni e mezzo di morti in una guerra durata quasi tre anni. Ma la divisione al 38° parallelo resta e questo si cala nel tempo aperto. Il soggetto tutore del regime nord coreano non è più l’Unione Sovietica né la Federazione Russa di Putin, bensì la potentissima Cina. Il soggetto tutore della Corea del sud sono sempre gli Stati Uniti. Ma sono un soggetto reticente, dalla politica estera incerta e assai meno credibile nella volontà di garantire gli alleati. Tutto ciò rende assai insicura l’area ed esposta a velleità e colpi di testa con conseguenze potenzialmente catastrofiche. Il 38° parallelo pende ancor sulla nostra testa come una spada di Damocle irrisolta. Settant’anni dopo.

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