La Vergine letterata. A proposito di Michele Feo, Cosa leggeva la Madonna?

“Legerat hoc Maria”, dice Ambrogio commentando il brano di Luca sull’annunciazione. E tutto inizia da qui, dall’assenza di dubbi sulla capacità di leggere della Vergine, e anzi sul suo possesso d’una biblioteca. In moltissime immagini della Madonna, da un avorio francese del IX secolo ai santini devozionali del Novecento, un libro accompagna la figura più importante, dopo il Cristo, della religione cattolica.

Com’è innegabile, fa immenso piacere che l’opera di Michele Feo pertenga alle corde più antiche e più intime dell’ente che l’ha pubblicata. La Società Colombaria fiorentina, sorta nel 1735, subito fu contraddistinta da quelle ricerche difficili ma appassionanti, ‘curiose’ perché capaci di decifrare i misteri del passato, da loro stesse individuati. Si coltivarono così le discipline cosiddette ‘ausiliarie della storia’, quali l’archivistica e la diplomatica, la sfragistica e la simbologia, e altre del tipo, che in realtà i Colombi giustamente ritenevano preliminari al racconto storico, ed integrate in esso. L’indagine di Michele Feo s’inserisce precipuamente in una di queste, l’iconologia, rimessa in auge, dopo gl’inizi cinquecenteschi del Ripa, da storici dell’arte del calibro del Warburg e del Gombrich, ma da lui declinata in modo speciale, appunto da Colombo. Perché le ricerche debordano immediatamente, hanno necessità d’una cultura enciclopedica che sappia inquadrare gli artisti e i modi della loro espressione lungo l’arco dei secoli, e riesca a scovare i titoli giusti nelle imponenti bibliografie.

L’autore individua e cataloga centinaia d’immagini, di cui alcune vanno ben al di là della semplice raffigurazione, permettendo d’aprire squarci anche di storie segrete. Come in due quadri del Pintoricchio, il primo un’Annunciazione conservata a Spello, dove due pagine del candido libro letto dalla Vergine contengono passi dell’Antico testamento, con una profezia che la riguarda; il secondo la grandiosa pala all’interno della quale si trova un’altra espressione dello stesso tema, ma con riferimento addirittura all’officium beate Virginis. Nel caso, il pesante coinvolgimento dell’artista nelle vicende d’Alessandro VI Borgia, committente dell’opera, e il sontuoso abbigliamento della Madonna suggerirebbero atmosfere mondane e politeiste, a far di Maria quasi l’architrave del tracotante potere della curia romana; e invece rimane un importante nucleo teologico, perché con l’immagine della protagonista che legge la propria storia è inventato “un gioco di specchi e di specchiati sembianti” che trascorre dal passato al futuro, dal cielo alla terra, “su un filo immaginario che collega finitezza ed eternità”.

Altra volta Maria legge il Magnificat, come in un dipinto del Botticelli e in uno forse coevo del meno conosciuto Pietro da Talada: nel quale si rappresenta anche l’apprendimento del Bambino, visto che Gesù mentre sta sulle braccia della madre compita l’alfabeto scritto su due righe in una tabula. Si tratta d’un’occasione per citare un ruolo materno davvero essenziale, che si fa strada nel coacervo della modernità d’immagini ormai sempre più dedicate a una vita quotidiana laicizzata, dove entrano pure fattezze femminili ben poco metafisiche.

Specie prima del manifestarsi del movimento umanistico, la Chiesa ha attribuito all’arte figurativa la funzione d’illustrare e di spiegare quanto gl’illetterati non erano in grado di leggere nei libri. Ma anche dopo, direttamente o indirettamente, dietro le immagini è reperibile la dottrina d’un dotto o della tradizione; ed è interessante studiare come e in quale misura la fisionomia della Vergine risulti delineata dalle conoscenze di autori che non nascondono d’ispirarsi alle narrazioni epiche. Un esempio è costituito dal Mantovano, ovvero il carmelitano Battista Spagnoli, che nella Parthenice Mariana, del 1481, non si perita di saccheggiare gli attributi e i nomi dell’intero pantheon grecoromano per rivestirne il pantheon cristiano, e fornire alla fanciulla di Nazareth un coerente allure umanistico, capace d’interpretare l’universo. Si tratta d’un percorso destinato ad evolvere nelle tardo cinquecentesche e secentesche deificazioni, sfocianti quasi nel ridicolo. Meglio dunque soffermarsi sul luogo dove la finezza del Feo dispiega integralmente le proprie capacità, cioè nell’analisi di quella che a diritto è da considerarsi “la più bella di tutte le Annunciate che furono che sono e che saranno”, l’Annunciata di Palermo d’Antonello da Messina. Il quale fu autore di almeno otto Madonne, di cui sono certamente Annunciate la palermitana e la monacense. Il confronto fra esse propone, tra le altre cose, la discussione sul gesto della mano destra di Maria, presente nel primo dipinto, e in vario modo interpretato da giornalisti e letterati odierni: un excursus di natura chirologica permette d’avvicinargli una scena scolpita su un capitello del Palazzo Ducale di Venezia. E ciò in qualche modo prelude alla spiegazione di alcuni degli enigmi sottesi all’immagine propostaci dal pittore, a cominciare dall’assenza dell’angelo annunciante. L’ipotesi del Feo, del tutto convincente, è che le due Annunciate vadano messe in successione, ma inversa ad una già indicata, illustrando quella di Palermo una Maria presaga, ma non certa, che le sacre scritture parlino proprio di lei, e quella di Monaco la Madonna ormai piegata ai divini voleri, e conscia delle dolorose prove che l’aspettano.

Nelle pagine finali del volume, arricchito da 41 tavole, viene dichiarato che quella raccolta attraverso le immagini e le narrazioni è una “storia strana … vissuta dal popolo dei fedeli nel corso di duemila anni” che trasmette (“forse”) l’esigenza di menzionare anche la Madre, nella formula sacra accompagnante il segno della croce usuale per i cristiani. Degna e condivisibile conclusione d’un libro bello e importante, scritto dalla parte delle donne, per far pensare credenti e non credenti.

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