Sugli effetti demografici dell’epidemia

Sulle possibili conseguenze, a breve e a meno breve termine, dell’epidemia di coronavirus, si stanno esprimendo legioni di filosofi, psicologi, sociologi, economisti, oltre, naturalmente, agli scienziati che studiano virus e contagi. Le incognite per chi si cimenta col futuro sono innumerevoli, per ovvie ragioni. L’ondata epidemica che sta rapidamente rifluendo, non è ancora conclusa, né sono escluse ulteriori ondate, magari meno virulente e gestite più efficacemente da un sistema sanitario non più preso alla sprovvista. Il 18 maggio, iniziata la fase 2, i decessi registrati sono stati 32.000; diverse proiezioni dicono che il conto finale di questa fase acuta (al netto di future ricadute) potrebbe aggirarsi intorno alle 35.000 vittime, una cifra che andrà sensibilmente arrotondata per includere le sottostime che certamente ci sono state, Tanto per fare un confronto, l’epidemia di febbre Spagnola del 1918-19, che per natura e contagiosità ebbe caratteristiche analoghe a quelle del Covid-19, fece circa mezzo milioni di morti, in un’Italia con venti milioni di abitanti in meno. A differenza delle vittime del coronavirus, la cui età media secondo l’Istituto Superiore di Sanità è di 80 anni, la Spagnola colpì soprattutto bambini e giovani, e fece innumeri vedove, vedovi e orfani. Benché non ci siano né farmaci decisivi per la cura, né vaccini, le società attuali che hanno robusti sistemi sanitari, si difendono dagli effetti di vecchi e nuovi virus assai meglio di quelle di un secolo o mezzo secolo fa. Certo in molti casi (in Italia come in Spagna, in Belgio come in Gran Bretagna, per non parlare degli Stati Uniti) c’è stata impreparazione di fronte all’epidemia e bisognerà approntare rapidamente i rimedi necessari. Con riferimento all’anno corrente, è normale attendersi un aumento sensibile della mortalità nelle aree più colpite, ad esempio nel bresciano e nel bergamasco; tuttavia, a livello aggregato, e considerando l’indicatore della speranza di vita alla nascita – che nel 2018 ha raggiunto gli 83 anni (tra i più alti nel mondo) per l’insieme di donne e uomini – le variazioni in meno saranno poco avvertibili (dell’ordine di un anno) stante l’alta età media dei decessi, diretti e indiretti, provocati dall’infezione. I decessi provocati indirettamente sono quelli dovuti ad altre patologie, che non sono state trattate adeguatamente per l’impreparazione del sistema sanitario sopraffatto dall’emergenza. Questi decessi “indiretti” potrebbero essere controbilanciati da un minor numero di decessi dovuti a cause accidentali (traffico, lavoro) che normalmente colpiscono persone giovani-adulte, e che la chiusura del paese ha sensibilmente ridotto. Questo nel 2020; negli anni successivi la sopravvivenza potrebbe ritornare ai normali alti livelli.

Maggiori ripercussioni potrebbero esserci sulle nascite, già discese a un minimo storico nel 2019 (appena 435.000). Alcuni media si compiacciono nell’amplificare le considerazioni goliardiche circa una ripresa delle nascite dovuta alla serrata, con coppie annoiate che intensificano i loro rapporti sessuali. E’ invece assai più plausibile pensare che l’accresciuta disoccupazione, l’abbassamento del reddito disponibile, la situazione di incertezza rispetto al futuro influiscano negativamente sui programmi riproduttivi, provocando un ritardo delle scelte, o addirittura una rinuncia ad avere un figlio già programmato. L’esperienza degli ultimi decenni circa le relazioni tra economia e riproduzione è in linea con queste aspettative. L’incidente nucleare di Chernobyl del 1986 ebbe sicuramente un effetto negativo sui concepimenti e quindi sulle nascite in Italia, effetto che durò qualche mese. In tutto il mondo ricco, nei primi due decenni del nostro secolo, è assodata una relazione negativa tra nascite e disoccupazione. Un recentissimo studio del Presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo (Effetti demografici del Covid-19: scenari di natalità, “Neodemos”, 15 Maggio 2020, https://www.neodemos.info/articoli/effetti-demografici-di-covid-19-scenari-di-natalita/ ), ha tradotto in numeri le possibili conseguenze dell’epidemia sulle nascite. Cito uno dei risultati: nel 2021, qualora la disoccupazione aumentasse di 2,5 punti, ma rientrasse ai livelli attuali (circa il 10%) dopo 6 mesi, le nascite sarebbero inferiori del 4,5% rispetto al 2020 (cioè circa 20.000 nati in meno). Se invece la disoccupazione aumentasse di 20 punti (cioè raddoppiasse) e ritornasse ai livelli attuali dopo 2 anni, la caduta sarebbe del 9,8% (cioè circa 42.000 nati in meno). Si tratterebbe di una flessione sensibile rispetto al già bassissimo numero attuale.

Infine, le ripercussioni maggiori riguarderanno i movimenti migratori. Nell’immediato, ci sarà una tendenza a sanare le posizioni degli irregolari (come da più parti viene chiesto e come recentemente è stato fatto) per motivi sia economici (il calo della mobilità internazionale e intraeuropea provocato dalle disposizioni di contrasto all’epidemia, crea una domanda di lavoro insoddisfatta), sia sanitari. La difesa dal virus richiede l’individuazione delle persone a rischio, dei contagiati, delle persone venute a contatto con questi. Gli irregolari sfuggono, per definizione, a questo controllo, non sono facilmente “tracciabili” e creano rischi per la “sicurezza” sanitaria. Nel meno breve periodo è presumibile che molti stati stringeranno ancor più le politiche restrittive già in essere, e c’è il rischio che si pongano ostacoli alla libera circolazione nell’Unione Europea, o si cerchi di sospendere o condizionare Schengen. Infine l’Epidemia porrà in mano ai sovranisti, ai nativisti, e a tutti coloro che pregiudizialmente contrastano l’immigrazione, una nuova carta da giocare. Se il blocco (lockdown) ha funzionato per famiglie e individui, perché non applicarlo anche alle frontiere, e all’Europa intera? Sarebbe, questo, un ulteriore frutto avvelenato dell’Epidemia.

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