Modelli matematici e pandemia

La Matematica è sicuramente uno degli strumenti più utilizzati nella nostra società, sebbene questo non sia sempre evidente. Questo perché essa è una disciplina trasversale ad ogni applicazione e, per questo, meno visibile ad un occhio profano. È questo il caso dell’attuale pandemia di Covid-19, in cui essa offre gli strumenti per fare previsioni sulla sua diffusione che, com’è noto, ha purtroppo condizionato grandemente la nostra vita, con ripercussioni importanti sul nostro Paese e sul mondo intero.

Alla base di ogni previsione è la descrizione formale che definisce un modello matematico del fenomeno stesso: le equazioni che ne derivano, una volta risolte, permettono quindi di predirne l’evoluzione. È essenziale sottolineare che, a sua volta, la stesura del modello matematico risulta essere un mezzo per meglio comprendere il fenomeno descritto. Infatti, mentre si può parlare in senso vago di qualcosa, nel momento in cui si scrivono delle equazioni, bisogna essere necessariamente più precisi. E questo implica la necessità di chiarire i dettagli intimi che regolano il “funzionamento” del fenomeno stesso. Nel nostro caso, l’epidemia di Covid-19.

Come per molte epidemie, il modello più semplice utilizzabile è il cosiddetto “modello SIR”, dove SIR è l’acronimo di “suscettivi”, “infettivi” e “rimossi”, che sono i “compartimenti”, mutuamente esclusivi, in cui viene ripartita la popolazione interessata: il primo contenente gli individui che sono suscettibili a contrarre l’infezione, quest’ultima propagata dagli infettivi che, successivamente, possono guarire (o morire), così transitando nella classe dei rimossi, ovvero coloro che (o per immunità acquisita a seguito di guarigione, o per morte) non possono più propagare l’epidemia.

Questo semplice modello, che ha circa un secolo di storia, risulta essere tuttavia non del tutto appropriato nel caso della presente epidemia. In effetti, esso si applica con successo al caso in cui la diffusione dell’epidemia sia omogenea sul territorio (cosa che evidentemente non si è verificata in Italia) e, inoltre, si lasci evolvere l’epidemia senza interventi da parte delle autorità, facendo in modo che la popolazione acquisisca, in modo spontaneo (ma con un costo, in termini di vite umane, generalmente elevato), la cosiddetta immunità di gregge. Il SIR risulta essere invece molto efficace per pianificare, ad esempio, una campagna di vaccinazioni per una specifica malattia.

Nel caso dell’epidemia di Covid-19, si può recuperare in modo relativamente semplice la capacità previsionale del SIR introducendo alcune opportune modifiche. La prima è quella di tener conto che, come nel caso dell’Italia, vi sono aree geografiche in cui l’epidemia ha avuto una evoluzione differente. Questo sia perché i focolai di infezione sono stati diversi nelle suddette aree, sia perché queste ultime hanno caratteristiche socio-ambientali diverse. Basti pensare, a titolo di esempio, alla Lombardia ed al Molise: la prima che ha subito la prima forte ondata epidemica ed avente grandi agglomerati urbani; la seconda raggiunta solo tempo dopo ed avente una densità di popolazione assai più bassa. Si tratta, quindi, di generalizzare il modello ad un contesto multi-regionale con le regioni stesse interconnesse tra loro. Peraltro, questo fa ben comprendere la decisione delle autorità di riaprire con molta gradualità la libera circolazione, dopo il lockdown, prima entro ogni regione e, solo successivamente, tra le diverse regioni.

La seconda estensione importante del SIR riguarda il fatto che le persone infettate dal virus sono da suddividere in due ulteriori sottoclassi: quelle che non hanno una diagnosi di malattia, e quelle che l’hanno ricevuta. Gli individui nella seconda classe, avendo ricevuto una diagnosi, sono generalmente poste in isolamento (domiciliare o in ospedale) e, pertanto, non propagano l’epidemia. Viceversa, gli individui della prima classe, non essendo diagnosticati, sono quelli che di norma possono contagiare i suscettivi. A loro volta, essi potranno rimanere del tutto asintomatici per tutto il decorso della malattia, ovvero conclamare dei sintomi, che li faranno quindi transitare nella seconda classe (quella dei diagnosticati). Un altro aspetto importante riguarda il fatto che, in aggiunta, un individuo che è infettivo e, successivamente, riceve una diagnosi di malattia (venendo quindi messo in quarantena), ha potuto propagare il virus per un certo periodo di tempo. Questo comporta l’introduzione di un cosiddetto termine di ritardo nel modello, che quantifica questo tempo ma che, generalmente, ne complica la dinamica.

È interessante osservare che, con queste estensioni del modello SIR, il “picco” dei casi attivi, avutosi il 19 aprile 2020, si poteva prevedere già dalla fine di marzo. Questa informazione ovviamente non risolverebbe di per se’ il problema, ma potrebbe consentire di predisporre le strutture sanitarie con qualche settimana di preavviso.

 

 

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