Robotica e lavoro umano

Negli ormai lontani primi anni ’90, quando Robotica e Rete erano ancora agli albori, mi ponevo due questioni, una filosofica generale: se gli artefatti intelligenti avrebbero potuto un giorno superare la classica dicotomia cosa-persona procurandosi una tutela per soggettività oltre che per valore, e una più pratico funzionale: se  una pubblica amministrazione informatica dove il robot in larga misura sostituisse l’uomo, avrebbe potuto garantire razionalità, trasparenza e un effetto anti-tangente (eravamo in piena tangentopoli).

A distanza di oltre 20 anni, forse un po’ in ritardo, i temi sono diventati attualissimi, tanto che il Parlamento europeo, su spinta di un rapporto presentato dalla deputata dell’assemblea di Strasburgo Mady Delvaux (2015/2103-INL 31 5 2016), in questi giorni ha adottato una Risoluzione per una legge sui diritti civili dei robot (16 febbraio 2017 P8_TA-PROV(2017) 0051 Norme di diritto civile sulla robotica) e da più parti si invoca la digitalizzazione della pubblica amministrazione come strumento semplificatore e anti-corruttivo, specialmente nel grande e infuocato campo degli appalti. Il presidente della ANM e il capo dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione sono gli esponenti di spicco che promuovono una pratica burocratica sempre più digitale proprio nella P.A, in chiave di trasparenza. Del resto, sia il dibattito scientifico sia la produzione legislativa dagli anni ’90 hanno spinto per il documento informatico, per il processo civile telematico e per un’informatizzazione di gran parte delle attività pubbliche e private dove le operazioni fossero vincolate e basate su dati obbiettivamente certi e univoci. Non è la sede per diffondersi sulla natura morfosintattica del computer e sulla cesura che separa nettamente la logica, omogenea all’informatica, e la semantica al contrario fortemente resistente. E’ il problema “problematico” dell’intelligenza artificiale.

Che la robotica, come la meccanizzazione in passato, produca un effetto importante sul lavoro è un dato certo. Sociologi e lavoristi hanno negli anni riflettuto su questo tema cruciale, dividendosi tra ottimisti e pessimisti in relazione al mercato del lavoro. Analogo atteggiamento è quello nei confronti della Rete che, per alcuni, riduce la capacità di pensare e riflettere, mentre per altri  rappresenta uno stimolo amplificatore culturale. L’overdose di informazione può portare a un’acquisizione acritica, priva di riflessione, foriera di quantità e superficialità, oppure può costringere ad una necessaria opera di analisi e filtro utili per l’attività intellettuale. La mente, nel primo caso, si inaridirebbe, mentre nel secondo caso sarebbe indotta ad allenarsi continuamente.

Il campo di utilizzo dei robot è oggi smisurato, tanto che possiamo cogliere almeno tre livelli di robotica. Il primo, in cui l’esecuzione è guidata totalmente dall’esterno (robot teleoperati), dove la macchina è una protesi staccata dell’uomo che svolge passo passo istruzioni indicate. Il programma è eseguito dal guidatore umano che lo governa in modo totale e continuativo. La macchina, in questo caso, non ha alcun livello di autonomia. Il secondo, dove l’esecuzione è totalmente guidata dall’interno, dal programma. L’uomo dà solo l’input iniziale. Si parla in questo caso di una autonomia debole. Il terzo esecutivo e auto-guidato come il secondo, ma in questo caso la macchina è dotata di un programma per autoprogrammarsi e, dunque, siamo di fronte a una autonomia forte.

All’interno di questa terza categoria, è possibile individuare due varianti: la prima chiusa dove l’autoprogrammazione è prevista e prevedibile esattamente dal programmatore; la seconda aperta, dove la macchina è impostata per apprendere dalla propria esperienza in modo imprevisto e imprevedibile dal programma (algoritmi genetici ed evoluzionisti). E’ recente la notizia di un robot autoapprendente, chiamato Libratus, prodotto dalla Carnegie Mellon University Pittsburg, che è in grado di battere oggi i campioni umani di poker. E’ l’evoluzione del suo fratello maggiore Claudicus, che aveva fallito perché ancora non sufficientemente capace di apprendere dall’esperienza e di rielaborare le mosse delle partite perse con gli umani. Questi livelli di autonomia differenti possono ovviamente avere un effetto diverso rispetto alle eventuali responsabilità da attribuire in caso di danni prodotti dalla robotica.

In un tale quadro, si colloca la Risoluzione europea approvata nello scorso febbraio che, oltre a occuparsi del tema della responsabilità civile derivante da illeciti causati dalle azioni dei robot, sottolinea l’impatto della robotica sul mercato del lavoro.

Per i danni prodotti da negligenza della macchina, si propone l’ipotesi di un’assicurazione obbligatoria che copra i rischi (esempio attuale la drivelesscar) e di un fondo sussidiario in caso di non assicurazione, rievocando il peculium degli schiavi romani. Per quanto riguarda gli effetti sul lavoro, da un lato si richiama l’attenzione sulla previsione della Commissione secondo cui, entro il 2020, l’Europa potrebbe trovarsi ad affrontare una carenza di professionisti “digitali” fino a 825.000 persone e, dall’altro, si rileva che la robotizzazione potrebbe incidere negativamente sull’occupazione in generale con pericolo di forti perdite di posti di lavoro. A questo proposito, la proposta originaria auspicava l’introduzione di una tassa detta Robotax, relativa a redditi prodotti da entrate “digitali” allo scopo di costituire un fondo per la tutela e il riaddestramento dei lavoratori licenziati a causa della tecnologia digitale. Il testo approvato attualmente cancella quest’ipotesi perché, come sostenuto anche dalla Federazione Internazionale della Robotica, risulterebbe eccessivamente dannosa per l’industria digitale. Anzi, invita gli stati membri a sviluppare sistemi di istruzione e formazione per accrescere la competenza digitale, che favorirebbe sia il consumo di prodotti digitali, sia l’occupazione nell’industria robotica.

Nel bilanciamento di valori, questa politica legislativa privilegia nettamente l’economia industriale rispetto alle esigenze del lavoro in generale.

Cfr. Lamberto Maffei con Elogio della lentezza, Bologna, il Mulino, 2014 e Elogio della ribellione, idem, 2016 contro il digitale estremo e Nicholas Carr con Internet ci rende stupidi?, Milano, Cortina, 2011; Clay Shirky con Surplus digitale, Torino, Codice, 2010 e Derrick Kerchove con La Rete ci renderà stupidi? (irruzioni), Castelvecchi, Roma, 2016

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