Margherita, astronoma (famosa) quasi per caso

« Quando venne il momento di iscriversi all’Università non sapevo cosa scegliere, però al ginnasio scrivevo dei bei resoconti sulle partite della Fiorentina, e così, pensando di diventare giornalista, mi iscrissi a Lettere. Frequentai la Facoltà per un’ora: il primo giorno di lezione il professore ci parlò di una raccolta di scritti di critica letteraria, di un autore italiano. Tante chiacchere: un’ora lunghissima, una gran predita di tempo… Il giorno dopo andai subito ad iscrivermi a Fisica Pura, come si chiamava allora, perché Matematica e Fisica mi erano sempre piaciute. »

Racconta più o meno così, con quello stile immediato e diretto che le fu proprio per tutta la vita, come diventò scienziata Margherita Hack (1922-2013), in una lunga video-intervista, finora inedita, che chi scrive raccolse una quindicina di anni fa: lei era di passaggio a Firenze, in un accogliente hotel del centro, e decisi di cogliere l’opportunità. Si rivelò ben disposta a raccontare, anche più di quanto avessi sperato. Diciamo la verità: non stupisce. Parlammo per più di un’ora: passò un po’ in rassegna la sua vita, ed espresse la sua opinione anche sull’evoluzione dell’astronomia italiana in questi decenni, sia come ricerca che come organizzazione, sul ruolo delle donne scienziate nei Paesi che dove aveva lavorato, e perfino qualche giudizio sui colleghi.

L’intervista è stata riproposta sabato scorso 11 giugno, nella forma breve di una dozzina di minuti, al Museo Galileo, durante l’evento cittadino che, in occasione del centenario della sua nascita, il 12, è stato organizzato da vari Enti: il Museo stesso, il Comune di Firenze, l’Osservatorio astrofisico di Arcetri. Evento i cui posti si sono esauriti troppo presto, e al quale hanno partecipato vari personaggi istituzionali: i direttori degli Enti menzionati, il Sindaco, la Rettrice.

Già ma la Fisica, che sia “pura” o meno, non è proprio astronomia. E allora? Perché è divenuta astronoma? Ecco un altro frutto del caso, il secondo della sua carriera da studente: al momento di pensare alla tesi si rivolse al Direttore dell’Istituto di Fisica, allora posto in Arcetri. Aveva in mente gli argomenti della nascente elettronica, che le era stata ben spiegata e che poi aveva apprezzato in laboratorio, ma quel Direttore risultò ancora legato alla visione del secolo precedente, e l’argomento propostole riguardava piuttosto gli archivi dell’elettrostatica, piuttosto che i nuovi intriganti esperimenti della Fisica moderna. E la volitiva ‘Marga’, come la chiamerà sempre il marito, non esita a guardarsi intorno e a salire più su nel colle, fino all’Osservatorio sovrastante. Due o trecento metri per decidere la vita. Lì, l’incontro con un giovane astronomo entusiasta, Fracastoro in seguito nominato direttore dell’Osservatorio di Torino, insieme ad un modello ben diverso di direzione e di Direttore, Giorgio Abetti, segnarono definitivamente la sua carriera, stavolta di scienziata. “Abetti era speciale, se fossi stata in un altro Osservatorio, credo che non ci sarei rimasta a lungo, e mi sarei rivolta ad altri campi di ricerca”. Dixit.

La tesi proposta, e accettata, all’Osservatorio fu di tipo osservativo, e per oltre un mese, mentre la guerra si avviava alla conclusione, passò le notti al telescopio. Come ricordava col suo solito spirito, la sua era stata una tesi, più che sotto le stelle, “sotto le schegge”. L’argomento riguardava le variabili di tipo Cefeidi, ed è veramente curiosa questa coincidenza, perché questa stessa tipologia di stelle era quella che appena trent’anni prima aveva permesso ad un’astronoma statunitense, Henrietta Leavitt, di determinare sperimentalmente una formidabile legge che di colpo consentì di estendere, in modo inaspettato, i confini dell’Universo conosciuto. Non solo: questo strumento matematico-osservativo rivelò che c’era una categoria di scienziati, ossia le donne astronome, che astronome poi non lo erano tanto, poiché venivano regolarmente confinate in noiosissimi lavori di routine diurni, per gentile concessione dei loro colleghi maschi; non è un caso che quel gruppo di astronome fosse soprannominato l’harem. E stiamo parlando niente meno che di Harvard. Miss Leavitt fu addirittura proposta per il Nobel, e rappresentò il germe dell’emancipazione femminile in campo scientifico, così come la nostra Margherita Hack ha costituito il prototipo della donna scienziata contemporanea nell’immaginario nazionale. Insieme a Rita Levi Montalcini, ovviamente.

“Ma cosa ha scoperto, di importante, la Hack? C’è una legge che porta il suo nome? Insomma, perché è famosa?”, mi hanno chiesto degli amici quando accennavo alla celebrazione. Niente di tutto questo: certo ha lavorato spesso all’estero, anche presso prestigiosi Osservatori europei ed americani, ha pubblicato articoli importanti, ma lei si è imposta all’attenzione degli italiani non esperti in materia soprattutto per la sua capacità comunicativa, ed è per questo che viene ricordata. Permetteva di capire, o dava l’impressione che si potessero capire, senza troppo sforzo i più complessi argomenti di Astrofisica, usando un linguaggio composto di termini quotidiani. Un’altra cosa, oltre allo stile, ha continuato a caratterizzarla anche dopo decenni di lontananza dalla città natale: l’accento e il lessico toscanissimi. Che suonano sempre accattivanti. Una figura familiare, anzi una figura famigliare. Per questo era seguita e venivano ad ascoltarla anche persone lontane dalle sue idee, nonostante sconfinasse spesso con totale disinvoltura nella politica, nella fede, nella spiritualità. Inoltre negli ultimi anni si era avviato anche un processo a reazione positiva. Grazie alla sua fama e a quella facilità di scrivere rivelata già al ginnasio, aveva potuto pubblicare libri su tanti argomenti, in aggiunta alla divulgazione astronomica: dai gatti alla bicicletta (fu molto sportiva, partecipò con successo ai Littoriali e frequentava assiduamente gli ASSI), alla gastronomia, alle escursioni naturalistiche, perfino qualche incursione nel teatro, e questo a sua volta aveva ulteriormente aumentato la sua notorietà.

Sottolineiamo che nella scienza essere comprensibili senza divenire banali, saper semplificare senza abbandonare la precisione, non è affatto cosa da tutti. Sembra facile ma non lo è. Tutt’altro. Non vorremmo che da queste righe scaturisse un suo profilo riduttivo. Hack è stata la prima donna in Italia a diventare Direttore di Osservatorio, è stata la prima donna, e l’unica per molti anni, ad essere titolare di una cattedra di Astronomia, cioè ad arrivare al ruolo di professore ordinario per questa materia. E vincere per merito una cattedra non sono, e non erano, noccioline.

Concludiamo questo Amarcord osservando che c’era stata un’altra peculiare coincidenza positiva, la terza, nella vita della studentessa Hack. Avvenne quando stava rischiando sul serio di non essere ammessa all’esame di maturità, per ‘dissapori’ politici con un suo insegnante. In quel caso la coincidenza fu l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940, col decreto che stabilì che, a causa dell’emergenza bellica, gli studenti italiani dell’ultimo anno di scuola superiore erano esonerati dal sostenere l’esame finale, che era appunto imminente: tutti avrebbero conseguito comunque la licenza. Signorina Margherita Hack compresa.

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