Tangentopoli trent’anni dopo

Decisamente si tratta di una ricorrenza da non ricordare, se mi si perdona l’ossimoro. Parlo di tangentopoli. Ma il profluvio di articoli e di sciocchezze che mi è capitato di leggere in merito, m’invita a scrivere queste due righe di puntualizzazione. Perché anche la pazienza ha un limite. Ovvero, come diceva Flaiano, anche il limite ha la sua pazienza. Che ora si è esaurita.

La tesi ricorrente è che il pool della procura di Milano, quella nota come promotrice dell’inchiesta Mani Pulite avviata con l’arresto del “mariuolo” Mario Chiesa nel febbraio 1992, abbia abbattuto il sistema dei partiti della prima Repubblica. Preciso subito che se un dir simile mi fosse detto a un esame da uno studente la bocciatura sarebbe immediata. È insopportabile questo voler rincorrere gli eroi salvifici che poi, a distanza di trent’anni, entrano nella sagra della “caduta degli dei”.

I partiti della prima Repubblica hanno pensato bene di dissolversi da soli per la loro incapacità di confrontarsi e adattarsi ai grandi cambiamenti in atto. Facciamo due casi esemplari. Prendiamo la Dc, anzitutto, che era il “partito sistema”, il “partito istituzione” che operava l’amalgama della rappresentanza nazionale fra nord e sud: unico partito con questa singolare dote, imprescindibile in un paese dalle molteplici identità territoriali. La Dc era nata nel lontano 1943 e, soprattutto si era consolidata nel 1945 grazie a Montini, futuro Paolo VI, e a De Gasperi come il partito dell’unità dei cattolici.

Quindi aveva questa ben precisa vocazione e questa natura fondante.

Giunti agli anni ’80, c’era qualcuno che poteva ancora pensare che la Dc fosse il partito dell’unità dei cattolici? Si, c’era. E c’era anche agli inizi degli anni ’90. Ma si trattava di miopi o di illusi. Quelli che per gli americani alimentano il wishful thinking: penso che sia ciò che sta nei miei desideri. I cattolici rimasti, in un’Italia già profondamente secolarizzata per non dire tendenzialmente scristianizzata della fine del passato secolo, votavano per chi ritenevano, a destra e a sinistra. Il richiamo all’unità, se pur c’era, cadeva nel vuoto. Aggiungo, per chi meno conosce la storia elettorale italiana, che la rappresentanza politica della Dc, dalle elezioni politiche del 1987, ma i sintomi c’erano anche prima, si stava meridionalizzando. Perdeva consensi al nord a favore di forze emergenti. Il ceto politico liberale si era esaurito nello stesso modo. Si vedano le elezioni del novembre 1919. Quando questo avviene, in Italia, un partito o una classe politica egemone è condannata all’esaurimento più o meno rapido. La regola è semplice: muori perché non sei più in grado di fare la mediazione territoriale.

Facciamo un altro esempio. La sinistra, il Pci e il Psi, quella che allora si chiamava la sinistra di classe. Il problema per questa sinistra era che negli anni ’80 si veniva rapidamente esaurendo proprio la classe di riferimento, la classe operaia. Quindi necessitava un radicale ripensamento del ruolo di quella rappresentanza. Peccato che non ci sia stato, né in Italia né altrove, a spasso per l’Europa. Quando si arriva a Tangentopoli, il Pci non esiste più e il Psi è un pirandelliano personaggio in cerca d’autore. Dunque, è il pool milanese a liquidare i partiti? Ma per carità!

Poi pensiamo al principio sistemico nel quale nasce e si consolida fra il ’45 e il ’47 il sistema dei partiti. Com’è che la Dc è sempre al governo e il Pci è sempre all’opposizione? Semplice: per le fedeltà internazionali dei due partiti in un paese schierato come il nostro. Poi lo schieramento si sostanzia anche di timori, di lealtà, di interessi. In parole povere, come ebbe a dire Montanelli alla vigilia delle elezioni del 1976, “turiamoci il naso” e votiamo Dc”. Era il tradizionale appello alla diga democristiana che doveva reggere la pressione dei comunisti, che, non a caso, in quella seconda metà anni ’70 faceva sentire potente la forza espansiva dell’Unione Sovietica di Breznev. D’altra parte, il voto comunista era speculare: si votava Pci anche per non morire democristiani, come si diceva allora.

Siamo andati avanti così fino agli anni ’90, quando sono successe un paio di cosucce. Prima è caduto il muro di Berlino, novembre 1989, mentre il mondo attonito guardava a una Unione Sovietica che non muoveva dito. Anzi subiva, pagata a buon prezzo, la riunificazione della Germania. Poi, nel dicembre 1991, si dissolve la stessa Unione Sovietica. Fine non “della” storia, come qualche politologo azzardato disse, ma “di” una storia, quella della guerra fredda. E allora nel nostro piccolo, serviva ancora turarsi il naso oppure ormai la fonte del cattivo odore aveva esaurito la sua ragion d’essere? Al pool di mani pulite andava e va piuttosto detto: ti piace vincere facile…

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