Attualità di John Rawls. A cento anni dalla nascita

I centenari sono appuntamenti ricorrenti, ma, secondo le nostre prassi, spesso e volentieri assai provinciali. Mettiamo il naso fuori dai confini nazionali a stento e anche quando gli eventi da celebrare, o semplicemente da ricordare, hanno una portata universale, abbiamo il vezzo o la tendenza, quasi incontenibili, a ridurli a fenomeni nazionali. Vedi il caso emblematico delle italianissime (ma provincialissime) leggi razziali del ’38 che, guarda caso, estendono, secondo un processo di imitazione, altre elaborate e applicate altrove, ma che il mal riposto” orgoglio” nazionale spinge ad assimilare a un fenomeno nostrano. Purtroppo, rebus sic stantibus, arriviamo a considerare cosa seria la retorica del “sovranismo”,  neologismo utile a non usare il più corretto termine di nazionalismo, che ci viene somministrato quotidianamente e che ha il solo effetto di dimostrare la pochezza, per non dire nullità intellettuale di chi lo manifesta.

Ora a proposito di centenari, se proviamo a mettere la testa fuori dai confini nazionali, scopriamo la nostrana quasi completa trascuratezza di quello della nascita di John Rawls, giusto un secolo fa; che coincide, per combinazione, con il cinquantenario di pubblicazione di una delle più rivoluzionarie opere di filosofia politica degli ultimi tre secoli: A Theory of Justice (1971).

Perché è tanto importante? Direi soprattutto per due ragioni. Perché il filosofo di Harvard riesce in modo persuasivo ed efficace a superare in chiave neocontrattualistica le tesi di Kant, introducendo il concetto di diseguaglianze immeritate, che le società libere sono chiamate a combattere, superando il concetto della semplice tutela delle pari opportunità che invece, fino all’elaborazione di Rawls, è stato alla base dei principi della società liberale. Con lucida analisi, il filosofo verifica che le pari opportunità scontano, e implicitamente accettano come ineluttabili, le diseguaglianze pregresse o prodotte dalla natura. Le pari opportunità, infatti, non superano la diseguaglianza fra chi nasce superdotato e chi nasce con risorse intellettive limitate o con handicap. Inoltre, le pari opportunità aiutano nella competizione chi parte dai blocchi di partenza con grandi risorse iniziali, materiali o immateriali; e potrei continuare, narrando delle discriminazioni di natura strettamente territoriale. Insomma, le pari opportunità scontano che almeno una minoranza sia discriminata e colpita dal fatto che la società ne accetta implicitamente la debolezza e non si pone il problema di rimediarvi. Solleva quindi un cruciale problema di giustizia distributiva.

La seconda ragione che rende il pensiero di Rawls ancora più attuale è il fatto che, a distanza di quasi vent’anni dalla sua scomparsa, le discriminazioni sul piano planetario si sono accentuate e il suo magistero è divenuto una risposta a una questione globale. Se, infatti, quando Rawls, negli anni ’60, andava elaborando quella che sarebbe stata A Theory of Justice, il ceto medio sembrava destinato a dilatarsi costantemente, almeno nelle società liberali, oggi ci dobbiamo confrontare con la sua crisi e con la sua tendenziale erosione. A macroscopiche concentrazioni di ricchezza si contrappone nel mondo e nei singoli paesi un’umanità immensa, non solo priva di “opportunità”, ma di condizioni elementari di esistenza. Per di più, questo avviene in prevalenza in quelle che Rawls qualifica come società fuori legge (The Law of Peoples, 1999), verso le quali le società liberali e le società ch’egli definisce “decenti”, ossia ove almeno i più elementari diritti sono rispettati, dovrebbero operare al fine di sostenere programmi di superamento della povertà estrema.

Due sono i principi cardine con i quali Rawls ha conciliato il tradizionale scontro fra il principio di libertà e il principio di uguaglianza, che resta irrisolto per i filosofi utilitaristici, a tutto scapito del secondo. Il primo è il principio di libertà in base al quale ogni persona dovrà godere del massimo di libertà compatibile con l’analoga libertà goduta da tutti gli altri, secondo i canoni del pensiero liberale classico e i principi garantisti da esso rivendicati. È il principio che John Stuart Mill aveva già elaborato con On Liberty (1859). Il secondo, che Rawls definisce il principio di differenza, ammette la discriminazione economica e sociale solo a condizione che sia a favore dei più svantaggiati. Un esempio concreto: più investimenti per la scuola dei meno dotati rispetto ai più dotati. Insomma, per il filosofo di Harvard, l’unica discriminazione compatibile è quella inversa, rispetto a quella ipotizzata dal pensiero utilitarista, e le società liberali sono chiamate a compiere un’opera che superi i limiti posti dalla storia e dalla natura. Sono chiamate a realizzare un’utopia concreta, ma per esse imprescindibile.

A proposito di società aperte e tolleranti e di come gestire e armonizzare i conflitti fra culture religiose e non, diversissime, torna di grande attualità il suo Political Liberalism (1993). Certo, per Rawls vale il principio di ragionevolezza. La radicalizzazione delle posizioni uccide la società libera. Ma il suo messaggio è che libertà e uguaglianza siano conciliabili. A condizione che si tutelino, anche discriminando, i più deboli. Un liberalismo rivoluzionario, insomma, destinato a incidere sul pensiero politico del XXI secolo e dal quale siamo tutti chiamati ad attingere linfa vitale per il futuro del pianeta.

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