LA COLOMBARIA E IL CENTENARIO DANTESCO

L’Accademia Toscana di Scienze e lettere “La Colombaria” partecipa alle celebrazioni del centenario dantesco 2021, anniversario della morte, con due cicli di sette lezioni ciascuno a cadenza settimanale, il primo fra il 21 gennaio e il 4 marzo, e il secondo fra il 4 novembre e il 16 dicembre. Il primo ha il titolo «Mondi e voci dantesche», il secondo «L’ultima ascesa. Poetica e immagini del Paradiso». L’Accademia si avvale della disponibilità dei propri soci, ma anche di voci esterne, nello spirito di collaborazione con studiosi di varia provenienza. Il primo ciclo, al momento definito, è inserito nel programma celebrativo del Comune di Firenze. Sarà di necessità realizzato in streaming. Il secondo, in fase di assestamento, viene preparato in sintonia con la Società Dantesca Italiana. Il presidente Sandro Rogari partecipa alle celebrazioni ravennati dedicate al ripensamento delle manifestazioni del 1921 e al loro significato.

Ambedue i cicli sono stati eccezionalmente proposti e approvati non da una singola classe, ma da tutte le quattro classi accademiche riunite in assemblea. Ciò in riconoscimento del valore che la figura di Dante riveste per tutti gli uomini di cultura, meglio per tutta la società italiana, e non per uno specifico ambito disciplinare. La Colombaria, attenta da sempre allo sviluppo intrecciato delle scienze storico-letterarie e delle scienze della natura, dall’angolo di osservazione privilegiato della Toscana, ma rivolto a tutto il Paese, intende con la sua partecipazione alle celebrazioni del centenario dantesco inserirsi nel coro entusiastico che da più parti d’Italia si leva a riconoscersi nel messaggio universale della poesia e altresì nel lontano e attuale magistero di padre della patria italiana.

Tutti i centenari celebrativi di grandi personalità nella storia d’Italia hanno sempre risposto al bisogno, particolarmente vivo per uno Stato di recente formazione, di definire la propria identità e di fare i conti con i padri e con la loro eredità. È anche per questo che, con il passare del tempo e delle situazioni politiche, le domande rivolte ai nostri grandi sono state volta a volta le stesse e diverse. Per restare a Dante, nel 1865, anniversario della nascita, l’Italia giovane e forse ancora immatura si contentò di monumenti statuari e di cortei, più adatti a suscitare la partecipazione popolare che non una riflessione storico-filosofica. Fu quello  in assoluto il primo dei centenari italiani e si celebrò a Firenze nei giorni 14-16 maggio. Dice il programma: «La piazza di Santa Croce, ove sarà inaugurato il monumento nazionale a Dante, verrà riccamente addobbata con festoni di lauri e fiori intrecciati a trofei con pitture decorative … e con epigrafi analoghe. La città sarà imbandierata, ecc. ecc.». Segue la motivazione delle celebrazioni, scritta da Niccolò Tommaseo:

 

Secento anni dopo ch’egli fu battezzato nel suo bel San Giovanni, Firenze e l’Italia e altre nazioni gli rendono onori che né più spontanei né più unanimi né più grandi poté mai ottenere né si sognò di pretendere verun principe della terra. Perché? Perché, dopo la virtù che benefica i popoli coll’opera e coll’esempio, e che consola e nobilita la natura umana mostrando quel ch’ella possa quando si lasci ispirare da Dio, dopo la virtù dell’animo viene subito la potenza dell’ingegno… Uno degli italiani, anzi degli uomini d’ogni gente e d’ogni secolo, che esercitarono in più alte cose l’ingegno … fu Dante Alighieri.

 

Il poeta tornò a svegliare le coscienze nel 1921, poco dopo l’uscita dalla Grande Guerra. Le domande che allora gli si rivolsero riguardarono la verifica dell’Unità del Paese e le sue prospettive politiche, ma fu anche provvidenzialmente pubblicata la prima edizione di tutto Dante curata dai migliori filologi allora sul campo, e ciò in linea con la convinzione, che veniva affermandosi nella cultura italiana, che occorreva impiantare un progetto di lunga durata di raccolta scientifica delle memorie patrie in edizioni che si chiamarono ‘nazionali’, ma furono saggiamente lasciate alla libertà dei gruppi di studiosi chiamati alle singole imprese.

Le celebrazioni del 1965 furono dignitosamente modeste, ma l’Istituto della Enciclopedia Italiana avviò una delle sue opere più nobili, l’Enciclopedia dantesca, degna di una società orgogliosamente in crescita sia culturale che sociale e politica, e fu un grande monumento in sei grandiosi volumi realizzati nel breve arco di tempo che andò fra il 1970 e il 1978, cui nessuno studioso italiano o europeo si sottrasse. Oggi le domande che emergono dal dibattito quotidiano sono pressoché infinite, e ognuno presenta a Dante le sue domande e si formulano le più diverse proposte, stante anche la grande disponibilità culturale e mediatica di espressione e comunicazione. Intanto le celebrazioni centenarie sono state disciplinate dalla legge n° 420 del 1° dicembre 1997 a firma di Scalfaro, Prodi e Veltroni. Eppure, accanto all’istituto centrale, continua a fervere uno spontaneo rispondere di iniziative locali, collegate o autonome.

L’Accademia della Colombaria s’inserisce nel coro, senza pretendere di esaurire con le sue conferenze tutto l’universo dantesco; e del resto non è facile restare all’altezza di una tradizione di studi vasta e generosa. Ha scelto due nodi fondamentali. Il primo intende presentare, per assaggi, al grande pubblico di uomini di cultura e di uomini semplici la variegata e pressoché cosmica sapienza di Dante e la sua apertura verso tutti gli aspetti della realtà, dalla galassia femminile alla questione della lingua, alla familiarità con le scienze della politica, della geometria, della geografia, della medicina, in una visione del mondo o dei mondi come una rivelazione di Dio.

Dante è stato visto quasi sempre come il massimo genio del Medioevo, come l’incarnazione stessa di quel mondo, sul quale pure gravava il peso del giudizio negativo dell’Illuminismo. Ma non sono mancate le voci che si sono chieste se non fosse stato al contrario il remoto padre dell’Umanesimo. Una delle indagini più o meno inespresse dell’ impegno dei ‘colombi’ tenta di rispondere a questa domanda. Alla luce anche della potente revisione novecentesca del Medioevo e del suo contributo di civiltà nelle arti, nella poesia, nell’elaborazione delle nazionalità e democrazie moderne, negli aneliti riformatori delle correnti religiose e pauperistiche, nel primo slancio verso la riscoperta dell’antichità, anche Dante appare non più come portatore di pregiudizi, risentimenti e pettegolezzi della valle dell’Arno, ma come autentico uomo di frontiera. Talché è possibile riferire anche a lui quello che di sé disse Petrarca, essere cioè collocato tra due età, e guardare insieme al passato e al futuro: tutto il recupero della mitologia pagana e della tradizione latina si sposa infatti felicemente con la fiducia nel “sole nuovo” del volgare.

Il secondo ciclo ha per centro il Dante meno accessibile al grande pubblico, quello del Paradiso, che vuol dire Dante dei sublimi voli mistici, dei colori sfolgoranti, dell’invisibile e dell’indicibile, il Dante che ha superato la prova di tutte le possibilità dell’azione e dell’espressione umana. È il Dante ispirato da Apollo, il dio supremo della poesia, e pure rimasto sempre uomo legato agli affetti umani, con lo sguardo sempre volto a quell’aiuola minuscola che è la terra e che ci fa tanto feroci. Vogliamo presentare un Dante non ovvio, ma neanche misteriosofico, Dante profeta della poesia come dono divino e come festa della vita, Dante come anello di congiunzione fra il mondo antico e l’umanesimo, e per questo anche figura centrale nella fondazione fiorentina della civiltà umanistica e rinascimentale.

Lascia un commento