Magnetar d’autunno

Non c’è dubbio che in Astronomia i corpi celesti più esotici ed i fenomeni più affascinanti, sia per profani che per professionisti, sono quelli relativi agli stadi finali dell’evoluzione stellare. Chi non ha mai sentito parlare di Supernove, Nane Bianche, Stelle di neutroni o, eziandio, Buchi Neri? E magari, incuriosito al riguardo, avrebbe voluto saperne un po’ di più, tanto per orientarsi in questo zoo galattico caratterizzato da uno spreco di enormi energie. Sembrerebbe un interesse da necrofili, visto che comunque si sta parlando della ‘morte’ di una stella, ma in realtà non è così. Infatti prima di tutto non di ‘morte’ si tratta, ma di trasformazione, sia pure in qualcosa di profondamento diverso, e poi perché tali processi, ed i loro esiti, sono una bella sfida poiché riguardano un’Astrofisica non ancora completamente compresa. Moltissimi infatti sono gli astronomi attualmente impegnati nell’individuarli in cielo, nel ricavarne i dati ed elaborare modelli interpretativi. Del resto anche il funzionamento a regime delle stelle è stato arduo da comprendere, ed è avvenuto solo un secolo fa (alla fine degli anni ’30, grazie al tedesco Hans Bethe. Che però lavorava all’americana Cornell University) dopo millenni di osservazioni e studi, proprio quando aveva iniziato a svilupparsi la fisica nucleare. E ancora oggi qualche aspetto richiede un chiarimento.

Nelle ultime settimane l’interesse della stampa scientifica si è occupata delle tracce di acqua sulla Luna e, ancora più importante per i viaggi spaziali, del subentro di privati come Space X, alla storica Nasa. Ma l’interesse si è rivolto anche alle Magnetar, peculiare tipologia di stelle dal nome che ricorda un verbo latino deponente e che finora erano rimaste nell’ombra. Anche questo è un tipo di stella evoluta, anzi evolutissima individuata in tempi recenti e la cui teoria risale appena agli anni ’90. Teoria che quindi è ancora un po’ in rodaggio. Me se ne facciamo un riassunto in stile Reader’s Digest, che ben conosco tramite remoto abbonamento paterno, si può dire che è sostanzialmente una stella di neutroni (in gergo NS, da non confondere con Supernova: SN) con formidabile campo magnetico.

Ogni stella è fatta di gas rarefatto, lo sappiamo bene, che non collassa sotto l’azione della propria gravità soltanto perché questa spinta all’indentro è bilanciata dalla pressione verso l’esterno dell’energia prodotta dalle reazioni nucleari che avvengono nel suo volume centrale. Bethe docet. Quando questa energia finisce perché il combustibile si è ridotto troppo, prende il sopravvento la gravità e la struttura collassa. Allora può spengersi in tutta tranquillità come uno bastoncino pirotecnico a scintille (ma come si chiamano davvero questi cosi??) riducendo le sue dimensioni, e questo sarà il caso del Sole tra 4 o 5 Mld di anni; oppure nel caso di stelle più massicce si ha un’esplosione che in parte fa schizzare nello spazio metà della materia, quella più esterna, della stella e per l’altra parte comprime tremendamente il nocciolo rimanente. Ossia la stella in parte implode. La massa non espulsa, così confinata in una sfera minima, genera una densità inimmaginabile (ma calcolabile bene dagli astrofisici). Visto che queste sono un po’ chiacchere da tè scientifico, potremmo coerentemente dire che se si offre al nostro gentile ospite un cucchiaino non di zucchero, ma di materia da NS, in quel cucchiaino più o meno c’è la massa di tutta la catena dell’Himalaya. Occorre un polso ben fermo.

Un  sistema naturale, ed in particolare una stella, è qualcosa caratterizzato da numerose grandezze fisiche, non c’è soltanto la massa, e molte di queste si conservano in questo scenario dell’atto conclusivo. Il campo magnetico per esempio. Nella fase di compressione anch’esso conserva la sua energia e quindi, a causa del volume molto più ridotto, aumenta di potenza (chiamiamola così). Anche l’energia di rotazione (chiamiamola così, di nuovo) si conserva: è il noto effetto pattinatore, che aumenta o diminuisce la propria velocità di rotazione a seconda che avvicini o allontani le braccia dal corpo. Minore estensione, maggiore velocità, e viceversa.

Dunque il risultato finale sarà una NS che ruota velocissima trascinando il suo intenso campo magnetico, e così facendo ‘spazzola’ con questo flusso lo spazio intorno a sé, emettendo radiazione ad alta energia: raggi Gamma e X. Stella magnetica: Magnetar. Ovvio, no? L’immagine a lato, presa da Wikipedia, dà un’idea ragionevole di questi corpi, a parte il colore rosso delle linee di campo che non è garantito. Se si vuole associare qualche numero a tale quadro generale e qualitativo, iniziamo a fissare un riferimento: il campo magnetico terrestre, quello seguito da certe specie animali migratorie. L’unità di misura ufficiale è il Tesla [T], lo scienziato serbo (1856-1943) pioniere in questo ambito. È unità ben sostanziosa visto che il campo terrestre vale qualche centomillesimo di Tesla; un valore cento volte più grande, ossia un milli-T, riesce a smagnetizzare i supporti informatici. Andando a livelli più alti, in letteratura si dice che una sorgente di 10 T messa da qualche fantasioso sconsiderato tra la Terra e la Luna, ha ancora effetti così forti che può danneggiare le nostre carte di credito. Occhio. Siamo a un milione di volte il campo terrestre che agisce sulla bussola. Ebbene, per una Magnetar il valore dovrebbe raggiungere, secondo la teoria, i 10 miliardi di Tesla. Cioè un biliardo (si chiama proprio così, il milione di miliardi) di volte il campo della Terra. Si tratta dunque di un oggetto super-compatto (NS) di massa superiore a quella del Sole, ma con dimensioni di appena una ventina di chilometri, che ruota su se stesso in pochissimi secondi portandosi dietro questo estremo magnetismo.

Che dire ancora? Non molto, non è il mio campo, do solo il consiglio pratico di portarsi unicamente contanti se ci si ostina a voler visitare una Magnetar.

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