Impeachment e democrazia americana

Il procedimento avviato in settembre dalla Camera dei rappresentanti sul c.d. “Ucrainagate” può portare in breve tempo al giudizio per impeachment del Presidente degli Stati Uniti. Si tratta dello sviluppo più recente delle gravi tensioni tra esecutivo e legislativo che caratterizzano, sin dall’inizio, il mandato presidenziale di Donald Trump. La maggioranza democratica ha già valutato altre ipotesi di illeciti attribuibili a Trump (come quelli indicati dal Mueller report sul c.d. “Russiagate”). Ma solo dopo le puntuali e documentate denunzie formulate da funzionari dei servizi segreti sulle indebite pressioni (e promesse di consistenti – 400 milioni di dollari – aiuti militari) nei confronti del neopresidente della Repubblica Ucraina (per ottenere l’attivazione di un indagine per corruzione nei confronti dell’ex Vice Presidente Biden, e cioè del più probabile avversario nelle prossime elezioni presidenziali), hanno costretto Nancy Pelosi a rompere gli indugi e ad avviare l’unica procedura che il sistema nordamericano ammette per far valere anche nei confronti del Presidente il principio di legalità (rule of law).

L’evoluzione più recente della forma di governo degli Stati Uniti (ispirata, com’è noto, nel disegno dei “Padri fondatori”, ad una rigida adesione al principio della “separazione dei poteri” enunciato da Montesquieu e nei Federalist Papers) ha visto crescere, sin dagli anni ’70 dello scorso secolo, una sempre più forte contrapposizione (sull’orlo frequente di veri e propri conflitti) tra il Presidente (che, soprattutto a partire dagli ultimi tre decenni dello scorso secolo, ha ampliato la propria capacità di intervento, anche sul piano normativo) e il Congresso (che ha dovuto cedere il passo nella definizione delle decisioni più rilevanti di politica militare ed estera, nonché di bilancio). Se già nel 1973 Arthur Schlesinger jr. poteva parlare di una “Presidenza imperiale”, alla fine del primo decennio del nuovo secolo, Bruce Ackerman poteva lanciare l’allarme, in un saggio del 2010 ( tradotto in Italia nel 2012: “Tutti i poteri del presidente, declino e caduta della repubblica americana”), sui rischi derivanti dallo squilibrio sempre più evidente tra lo spazio acquisito nella prassi dal Presidente e dal suo staff (con l’uso di strumenti capaci di rendere irresistibile il suo rapporto diretto con l’opinione pubblica) e il declino delle camere rappresentative (prive di strumenti efficaci, capaci di contrastare l’esecutivo e riportare in equilibrio il sistema: significativamente in quel saggio il costituzionalista di Yale faceva solo cenni fugaci al tema dell’impeachment, focalizzando la sua ricerca verso nuovi strumenti ed altre strategie, per consentire un recupero dell’autonomia e della capacità di controllo da parte del Congresso e ristabilire così l’equilibrio costituzionale).

Alexis De Toqueville aveva molto apprezzato la disciplina dell’impeachment nella Costituzione americana, ritenendolo uno strumento diretto a bilanciare in modo efficace il potere dell’esecutivo; ne aveva anche previsto un uso frequente nei confronti del Presidente. Ma la storia costituzionale degli Stati Uniti lo ha smentito.

L’impeachment, come giudizio promuovibile nei confronti delle più alte cariche dello Stato federale, ha visto una sua concreta attivazione solo in sedici casi, di cui quattordici nei confronti di giudici federali (che sono eletti a vita e possono essere destituiti solo all’esito di una procedura di impeachment), e nei confronti di solo due Presidenti degli Stati Uniti (Andrew Johnson nel 1868 e William Clinton nel 1998; non si è svolta invece la procedura di impeachment nei confronti di Richard Nixon, perché si dimise quando ancora era in corso l’indagine preliminare). La dottrina resta quindi incerta nel definire i caratteri di un istituto di tale rilevanza, in assenza di una prassi applicativa consolidata, con la conseguenza di darne interpretazioni talora molto divergenti e per lo più collegate con la sostanza politica del conflitto nell’ambito del quale può essere utilizzato.

L’impeachment venne introdotto (con un’esplicita disciplina anche del relativo procedimento) dai Costituenti del 1787, facendo riferimento ad un istituto nato per la prima volta in Inghilterra, alla fine del XIV secolo, quando i Comuni misero sotto accusa dinanzi alla Camera dei Lords un Ministro del Re per gravi malversazioni (1376). Si tratta di uno strumento di iniziativa politica e al tempo stesso di azione giurisdizionale. Le stesse incertezze sull’etimologia di questo istituto ne confermano l’ambivalenza. Si può infatti ipotizzare che impeachment derivi dal vocabolo latino “impetere”, nel senso di una richiesta/petizione (di natura politica) della Camera bassa al Re in Parlamento. Ma si può anche ritenere che derivi dal termine indictment, che si riferisce ad un’accusa attivata direttamente dal Re, con i caratteri di un’azione giurisdizionale di natura penale. Più semplicemente, alcuni collegano il termine al francese empecher, riferendosi alla sanzione con cui si può concludere, e cioè quella di “impedire” il mantenimento di una carica pubblica: sanzione che, pur basandosi su contestazioni di tipo giuridico, assume comunque un forte valore politico.

Quando venne introdotto nella Costituzione degli Stati Uniti d’America, l’impeachment era ancora vigente in Inghilterra ed aveva svolto un ruolo importante nel confronto durissimo, che si svolse soprattutto nell’arco del XVII secolo, tra il Parlamento ed il potere Regio. Nel corso del 1700, le ipotesi di applicazione dell’impeachment divennero più rare, in coincidenza con il passaggio dalla forma della monarchia costituzionale alla forma di governo parlamentare, quando il Parlamento iniziò a far valere, nei confronti dell’esecutivo, una responsabilità propriamente politica e non più meramente giuridica (non è un caso che, per datare il consolidarsi della forma di governo parlamentare, si faccia riferimento alle dimissioni date dal Walpole, nel 1741, proprio per evitare una procedura di impeachment e stabilire invece un rapporto diretto di fiducia con il Parlamento).

Nel sistema degli Stati Uniti, l’introduzione dell’impeachment non ha intaccato l’idea centrale dell’indipendenza dell’esecutivo e della sua separazione dal Congresso. Non esiste in partenza, nella Costituzione del 1787 e non si è sviluppata successivamente, una possibilità per il Congresso di far valere una responsabilità politica del Presidente (il Presidente, eletto direttamente, non può essere sfiduciato dal Parlamento, così come il Congresso, rappresentante del corpo elettorale, non può essere sciolto dal Presidente e – significativamente – i suoi membri non sono sottoponibili ad impeachment). L’impeachment ha così mantenuto il suo carattere di procedimento diretto a far valere responsabilità di carattere penale e giuridico, pure assumendo i caratteri tipici di un sistema di giustizia politica.

Sono politici gli organi competenti ad attivare la procedura ed a deciderla (l’impeachment può essere proposto con l’elencazione delle relative accuse dalla Camera dei rappresentanti, con un voto a maggioranza semplice e viene deciso dal Senato con un voto a maggioranza dei due terzi); sono politici o di nomina politica anche i soggetti passivi (il Presidente, il Vicepresidente, le alte cariche dello Stato, compresi i giudici federali).

Il procedimento segue tutte le regole ed ha tutte le caratteristiche di un giudizio penale (ciò sia con riferimento all’acquisizione delle prove sia con riferimento allo svolgimento del procedimento in contraddittorio ed alle garanzie del diritto di difesa; i senatori assumono la veste di giudici, prestando il relativo giuramento e, nell’ipotesi di impeachment del Presidente, il Senato è presieduto dal Presidente della Corte Suprema).

Ma, se il procedimento si svolge secondo le forme della giurisdizione, è significativo che l’azione di impeachment non escluda che l’accusato possa contemporaneamente essere sottoposto alla giurisdizione penale o civile ordinaria, per gli stessi comportamenti che sono oggetto della procedura dinanzi alla Camera ed al Senato. L’autonomia tra il giudizio di impeachment e il giudizio comune è così un ulteriore elemento per sottolineare la natura politica della procedura, cui si aggiunge la difficoltà di interpretare il perimetro dei reati che possono essere oggetto dell’accusa della Camera dei rappresentanti e sulla quale si deve pronunciare il Senato (che, si badi, in caso di condanna può applicare solo la sanzione di destituzione dalla carica occupata e l’interdizione ad assumere in futuro qualsiasi carica onorifica).

La Costituzione parla di “treason, bribery or others high crimes and misdmeanors”: i reati di tradimento (treason) e di corruzione (bribery) fanno riferimento a comportamenti definiti chiaramente nel sistema giuridico e nella giurisprudenza; mentre negli altri gravi reati e comportamenti illegittimi (others high crimes and misdmeanors) si possono inquadrare comportamenti della più varia natura, lasciando all’assemblea politica che svolge le funzioni giudicanti un’ampia discrezionalità nel definirne la antigiuridicità. Una parte della dottrina ha addirittura sostenuto che lo stesso Senato può individuare e definire quali comportamenti siano in grado di giustificare la destituzione dall’ufficio pubblico. In altri termini si ammette che la valutazione delle responsabilità del Presidente, così come di tutte le altre alte cariche dello Stato, si risolve in un giudizio sostanzialmente politico.

La presenza di strumenti di “giustizia politica” si collega, d’altra parte, ad una valutazione di insufficienza degli strumenti di giustizia comune, quando si sia di fronte a contestazioni di illeciti che incidono su interessi di livello costituzionale. La definizione di tali interessi e la valutazione dei comportamenti che li possono ledere viene per questo affidata ad organi che abbiano (come il Parlamento o come i giudici costituzionali) un’autorevolezza superiore a quella del giudice comune nell’effettuare valutazioni altamente discrezionali ed inevitabilmente politiche (come quelle connesse alla qualità morale e all’affidabilità di chi è titolare delle funzioni più elevate dell’ordinamento); anche se non si deve escludere la necessità che al Presidente vengano contestate precise violazioni delle leggi o della Costituzione.

I rari esempi di applicazione dell’istituto ai Presidenti degli Stati Uniti confermano questa interpretazione.

Nei confronti del Presidente Andrew Johnson (che come Vicepresidente era succeduto a Lyncoln, dopo il suo assassinio) venne avviata una prima procedura di impeachment nel 1887, nell’ambito del contrasto fortissimo che lo contrappose al Congresso nella difficile gestione degli esiti della guerra civile nei confronti degli sconfitti Stati del Sud. Questo primo procedimento non portò alla contestazione dell’accusa, perché la maggioranza della Camera ritenne non praticabile l’impeachment per far valere una responsabilità politica; ma subito dopo si giunse ad attivare e svolgere la procedura, quando fu possibile contestare la legittimità della revoca del Ministro della guerra effettuata da Johnson senza il parere favorevole del Congresso: si stabilì così che il procedimento si poteva attivare in presenza di contestazioni di illeciti, ma il conflitto rimaneva di natura altamente politica (al Presidente veniva contestata la violazione di una legge che gli imponeva il rispetto del parere del Congresso; ma il conflitto era chiaramente collegato alla sostanza politica della scelta del nuovo ministro). Il processo davanti al Senato si concluse con l’assoluzione di Johnson, perché mancò un voto per raggiungere la necessaria maggioranza qualificata dei due terzi dei senatori; ma l’esito portò comunque ad un indebolimento decisivo del Presidente Johnson, che non venne rieletto.

L’avvio delle indagini nei confronti del Presidente Nixon, implicato nel caso Watergate, non portò all’impeachment perché Nixon si dimise dopo aver subito l’ordine di esibire i documenti riferibili al suo coinvolgimento nello scandalo; ma è importante segnalare che in tal modo evitò che si giungesse a chiarire se aveva autorizzato la ricerca di prove contro i suoi avversari politici nelle successive elezioni: anche in questo caso il procedimento era diretto a contestare illeciti che avevano un forte connotato politico e ad una valutazione sulla lealtà e correttezza nell’esercizio del potere politico.

Il procedimento di impeachment subito da Clinton fu originato dal comportamento processuale tenuto dal Presidente in una causa, per molestie sessuali, promossa nei suoi confronti davanti ai giudici ordinari. L’indagine venne svolta da un Procuratore indipendente (Starr), istituito dopo la vicenda Watergate per garantire lo svolgimento senza influenze politiche della prima fase della procedura, che giunse – dopo avere ipotizzato diverse contestazioni – a formulare l’accusa di aver ostacolato la giustizia con false dichiarazioni ed aver fatto pressioni verso i sui collaboratori perché testimoniassero in suo favore. E’ significativo che il procedimento si volse a ridosso delle elezioni per il rinnovo del Congresso, alla fine del 1998. Il Senato il 12 febbraio 1999 concluse l’impeachment con una assoluzione. L’esito della votazione fu molto lontano dalla maggioranza dei due terzi, necessaria per la condanna, anche perché le accuse non erano chiaramente riconducibili all’esercizio delle funzioni costituzionali del Presidente; ma il caso Clinton costituisce un precedente importante nel configurare l’impeachment con riferimento ad accuse riferibili all’onorabilità del titolare della carica e ad un uso dell’accusa per delegittimarne il ruolo. In quel caso venne comunque mantenuta la netta distinzione tra il giudizio politico del Senato (di assoluzione) e il giudizio davanti ai giudici comuni (Clinton venne condannato in sede civile, nella causa per molestie che aveva originato il procedimento davanti al Senato).

Il procedimento avviato nei confronti del Presidente Trump fa riferimento a reati chiaramente riconducibili allo schema dell’impeachment (la Camera dei rappresentanti lo sta indagando per concussione e per abuso dei suoi poteri nei rapporti con il presidente di uno Stato estero, con la teorica possibilità di ipotizzare anche il reato di tradimento); ma è significativo che le ipotesi di accusa si muovano soprattutto verso contestazioni riferibili alla lealtà e al rispetto delle regole di correttezza nella competizione elettorale (l’accusa più grave è infatti quella di usare i suoi poteri per ottenere da un governo estero iniziative in grado di denigrare un avversario politico ) e la valutazione di tali comportamenti implica un giudizio di livello politico costituzionale che costituisce il cuore dell’istituto dell’ impeachment.

E’ scontato prevedere sia la formale messa in stato di accusa (perché la maggioranza democratica nella Camera dei rappresentanti sembra compatta nel voler giungere a votare l’impeachment) così come è quasi ovvio prevedere che molto difficilmente si potrà giungere ad una condanna (perché non sembra possibile che i membri della maggioranza repubblicana del Senato possano aggiungersi ai voti dei democratici in numero sufficiente a raggiungere la necessaria maggioranza dei due terzi dell’assemblea). Ma il procedimento avviato ed il suo svolgimento produrranno effetti notevoli sul piano dello scontro politico, sottoponendo il Presidente (ma anche i suoi accusatori) ad una valutazione pubblica delle posizioni contrapposte in una controversia che attiene essenzialmente alla messa in discussione dell’onorabilità del Presidente e della sua capacità di rispettare i principi della Costituzione americana.

La prima reazione del Presidente (di sostanziale ostruzionismo, fino ad oggi, rispetto all’iniziativa promossa dalla Camera) dimostra il grado elevato della posta in giuoco: non si tratta solo di definire sul piano dell’interpretazione giuridica i diritti e gli obblighi degli accusatori e dell’accusato (che non a caso contesta la stessa ammissibilità dell’indagine, pretendendo una previa delibera della Camera, che peraltro la Costituzione non richiede) ma si dovrà verificare se il sistema di giustizia politica così attivato riuscirà a svolgere efficacemente il suo ruolo di risoluzione con metodo giurisdizionale dei conflitti tra poteri o si risolverà nella definitiva perdita di equilibrio di un sistema storicamente fondato sul rispetto reciproco dei poteri nell’applicazione dei principi costituzionali.

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