TIPI DI CACCIA CON ESEMPI DALLA STORIA DELL’ARTE

INTRODUZIONE

La caccia è una attività umana che consiste nella cattura e/o uccisione di animali liberi nell’ambiente; presso i popoli primitivi veniva effettuata sia per difendersi da animali aggressivi che per procacciarsi del cibo con abbondante contenuto proteico. In tutte le civiltà e epoche la caccia viene effettuata anche nei confronti di quegli animali che danneggiano i campi coltivati o attaccano l’uomo e gli animali domestici (PIERONI 1967).

Oltre l’uomo, anche molti animali, sia onnivori che carnivori, soprattutto tra i mammiferi e gli uccelli, cacciano usando talvolta delle tecniche comportamentali raffinate, effettuate individualmente o in gruppo; gli animali però non hanno sviluppato degli strumenti appositi come l’uomo.

L’uccisione di animali feroci senza l’aiuto di armi è tipico dell’eroi, vedi a questo proposito Ercole che uccide il leone di Nemea e Sansone quello di Timna.

Immagini di animali ed episodi di caccia sono presenti nelle pitture parietali, normalmente monocromatiche, all’interno di caverne in Europa, ma anche in Asia ed Africa, databili spesso al Paleolitico superiore; queste pitture sono considerate una forma iniziale di arte (BAHN 1988).

Durante l’evoluzione della civiltà occidentale, la caccia è stata, oltre che un mezzo per difendersi dalle fiere e procurarsi del cibo, anche uno sport e uno spettacolo. A Roma, soprattutto tra la fine della repubblica e l’inizio dell’impero, si svilupparono gli spettacoli circensi con le venationes che si tenevano nel Foro, al Circo Massimo e poi anche al Colosseo. Prigionieri, condannati, ma anche gladiatori venivano fatti combattere con leoni, tigri e orsi che erano portati a Roma per questo scopo e quasi sempre questi soccombevano.

A Siena, tra la fine del 1400 e la metà del 1500, nella Piazza del Campo, si teneva la Caccia ai tori; quando, in epoca postridentina, questo tipo di spettacolo fu proibito, nacque il Palio, cioè la corsa di cavalli.

La corrida è forse l’unico spettacolo di oggigiorno nel mondo occidentale che ricorda le venationes.

Lo scopo di questo articolo è descrivere sia i tipi più comuni di caccia, con e senza le armi, in uso in Italia prima del XX secolo, sia quello di presentare ciò che è rimasto nel territorio toscano degli aggregati di piante che servivano per cacciare gli uccelli mediante le reti e gli uccelli da richiamo.

 

Alcuni tipi di caccia, che vengono riportati di seguito, sono accompagnati da rimandi a opere dell’arte europea, per altri non ho trovato rappresentazioni però non è esclusa la loro esistenza che dovrebbe essere cercata soprattutto tra le opere dei pittori naives. Non sono state aggiunte delle immagini per risparmiare spazio, ma soprattutto per invitare il lettore interessato e curioso a cercare nel web le immagini citate.

 

TIPI DI CACCIA

L’uomo, durante lo sviluppo delle varie civiltà, ha inventato mezzi e metodologie per la caccia, diversi a seconda dell’ambiente dove vive, dell’animale interessato, del livello di civiltà e di tecnologia raggiunto.

La caccia può essere praticata in gruppo o individualmente, è diffusa in tutte le classi sociali, il cacciatore può servirsi di armi diverse: armi bianche, come frecce picche, spade, balestre e armi da fuoco come i fucili. Esistono però anche metodi semplici e perfino alcuni ingannevoli.

La caccia può essere effettuata su veicoli come nei safari dove il cacciatore sta pronto con il fucile su un’auto scoperta che rincorre la preda. Il primo esempio di questo tipo di caccia in movimento è rappresentato in un bassorilievo di alabastro proveniente da Nmirud e conservato al British Museum di Londra dove il re assiro Ashurnasirpal II (meglio conosciuto come Sardanapalo) su una biga punta con l’arco un leone con la bocca spalancata.

Si può quindi concludere che esistono vari tipi di caccia, qui di seguito vengono descritti i principali

 

Con metodi semplici

Sia nell’antichità che oggi, presso le tribù primitive, si usava spingere gli animali di grossa taglia in una buca naturale o scavata, coperta o nascosta da frasche o in un precipizio, impedendo loro la fuga. In questi casi la caccia è effettuata da molti membri della stessa tribù, mentre nei tre esempi che seguono la caccia è normalmente fatta individualmente.

Esiste la caccia con i lacci dissimulati tra il fogliame a terra, oppure con i lazos cioè delle corde usate dai cowboys, sia a cavallo che a piedi, per catturare grosse prede, bovini o cavalli da domare. Simili sono le bolas cioè corde a cui sono attaccate due palle metalliche che vengono lanciate per catturare animali dai gaucho del Sud America.

Le frombole sono invece delle strisce di cuoio o di rete le cui estremità sono tenute insieme con una mano. Il proiettile, o un sasso o una pallottola di ceramica o di piombo, viene inserito tra le strisce, quindi l’uomo fa roteare con una mano le cime, quando si è raggiunta una certa velocità, una delle estremità viene lasciata in modo da liberare il proiettile nella direzione voluta. È evidente che l’uso della frombola richiede molta abilità.

Tale arma fu usata da David per colpire il gigante Golia. Michelangelo rappresenta Davide (Galleria dell’Accademia Firenze) che, prima di lanciare il proiettile, tiene una delle due estremità con la mano sinistra sull’omero e il braccio sinistro piegato, la frombola gli scende sulle spalle fino alla vita. Nella tomba della caccia e della pesca a Tarquinia un uomo fa roteare la frombola in direzione di un gruppo di uccelli. Sulla colonna traiana è rappresentato un gruppo di soldati con la frombola.

Anche il boomerang degli aborigeni australiani, poi usato anche dai colonizzatori bianchi, può essere considerata un’arma primitiva: è costituito da un pezzo di legno ad angolo ottuso, strutturato in maniera aerodinamica; ha il pregio di tornare indietro dopo il lancio se non colpisce la preda.

 

Con animali addestrati

L’uomo ha saputo addestrare per i propri fini animai già di natura cacciatori, come il cane e alcuni rapaci. Molti dipinti presentano scene di caccia di questo tipo. Nella Cappella dei Re Magi, nel Palazzo Medici Riccardi a Firenze, affrescata da Benozzo Gozzoli (1421 – 1497), in primo piano sono rappresentati personaggi a cavallo, di cui uno con un falcone; sullo sfondo sono rappresentati episodi di caccia a cavallo con cani, mentre vicino al margine inferiore dell’affresco sono evidenti due falconi di profilo e al suolo.

I falconieri, cioè coloro che addestravano i falconi per la caccia, erano tenuti in grande considerazione come si può osservare nell’affresco di Azzo di Masetto, circa 1280, nella Sala di Dante a San Gimignano dove il re Carlo d’Angiò in trono è circondato da dignitari e falconieri.

Personaggi storici di gran risonanza, colti e poliedrici, amanti della caccia, hanno scritto trattati su questa attività o anche composizioni poetiche. Federico II di Svevia scrive De arte venandi cum avibus (Sull’arte di cacciare con gli uccelli); Lorenzo il Magnifico invece scrive due opere che riguardano la caccia Uccellagione di starne e Simposio. Varie copie di questi testi sono corredate da miniature che illustrano le modalità di addestramento degli animali. La caccia con il falcone era fatta non solo dagli uomini, ma anche dalle donne, come si vede al mese di Agosto del libro miniato dai Fratelli Limburg cui lavorarono tra il 1413 e il 1416 Les Tres Riches Heures de Jean de Berry, Museé Condé, Chantilly. La partenza per la caccia con il falcone è rappresentata anche nel mese di Agosto dello stesso libro miniato.

Per molti membri delle classi più elevate, tra il X e il XIX secolo, la caccia a cavallo costituiva un’attività abituale, una specie di sport per pochi eletti, un vero e proprio rito che interrompeva le attività correnti di una corte, spesso anche un modo per allontanare l’ozio.

Venivano praticati due tipi di caccia: la “venatio clamorosa” rumorosa e la “venatio placita” silenziosa, senza strepiti. La venatio clamorosa aveva questo nome perché i cani abbaiavano inseguendo la preda; i cacciatori a cavallo e i servi a piedi con le armi gridavano per spingere i cani. Una scena del genere è rappresentata nel quadro Caccia notturna di Paolo Uccello (1397 – 1475), Ashmolean Museum di Oxford. Inoltre l’inizio della caccia era spesso segnalato dallo squillo di trombe o corni, questi suoni servivano per radunare i cacciatori e i cani. Questa partenza è rappresentata in un affresco di Azzo di Masetto, circa 1280, in una parete della Sala di Dante nel Palazzo comunale di San Gimignano: un uomo suona una tromba corta mentre i cani, trattenuti dai cacciatori, scalpitano per partire.

La “venatio placita” silenziosa era invece quella praticata con il falcone. Il cavaliere e il falcone potevano rimanere fermi o muoversi al piccolo trotto. Si usava questo tipo di caccia in genere per selvaggina di piccola taglia come lepri, conigli e uccelli.

Varie opere pittoriche di epoche diverse rappresentano scene di caccia di entrambi i tipi, venazio placida e venatio clamorosa.

Il manoscritto Carolingio (IX secoli) codice 387, al foglio 90, verso, conservato presso la National Bibliotek di Vienna, illustra le attività agricole di ogni mese. Al mese di dicembre è rappresentata una scena di caccia in cui due uomini con le picche uccidono un cinghiale. Anche nel libro miniato dai Fratelli Limburg Les Très Riches Heures de Jean de Berry, (1413 – 1416) Museé Condé, Chantilly nel mese di dicembre è rappresentato un cinghiale ferito con cani che lo bloccano e lo azzannano

Delle scene di caccia con falcone si trovano rappresentate in alcune opere conservate nella casa museo di Palazzo Davanzati a Firenze (SIGNORINI e CANCI 2017).

Nella Pinacoteca comunale di Cento sono conservati degli affreschi staccati del Guercino (Giovanni Francesco Barbieri (1591 – 1666) e collaboratori dove sono rappresentate scene di caccia a cavallo verso tigri, leoni e struzzi.

Un esempio di caccia a uccelli acquatici si trova nell’opera di Carpaccio (1465 – 1520) La caccia in laguna (Getty Museum, Malibu, Los Angeles); in questo caso la caccia è effettuata con gli archi, al posto delle frecce venivano lanciate pallottole di terracotta. I cacciatori si trovano su dei barchini. Alberto Arbasino (2000) ne dà una brillante descrizione in un libro dedicato al museo dove si trova l’opera.

Ambrogio Lorenzetti (c. 1290 – 1348), nel suo affresco Gli effetti del buon governo, in una sala del Palazzo Pubblico a Siena, nella parte che riguarda la campagna, mostra contemporaneamente alcune attività agricole che si succedono durante tutto l’anno e anche due episodi di caccia. Un signore a cavallo è appena uscito dalla porta della città con dei cani bianchi pezzati di nero, per andare a cacciare; poco più sotto, in una vigna con grappoli maturi, degli uomini con delle balestre cacciano uccelli.

Nel ciclo di affreschi dei Mesi di autore ignoto, ma probabilmente boemo, nella Torre Aquila presso il Castello del Buon Consiglio a Trento, databile a prima del 1490 (CASTELNUOVO 2002) si mostrano per ogni mese le attività del mondo contadino e quelle di un gruppo di nobili; gli episodi di caccia sono rappresentati in quattro mesi. Nel mese di gennaio (LE GOFF 1988) due gruppi di cacciatori armati di picche con cani, in un paesaggio nevoso, si dirigono verso un bosco dove ci sono due volpi riconoscibili per il pelo rossiccio e la lunga coda. Nel mese di agosto viene rappresentata una dama con un falcone al braccio, mentre un uomo ha liberato da poco un altro falcone. Nel mese di settembre si vedono due gentiluomini che partono per la caccia a cavallo e con i cani. Nel mese di novembre invece è rappresentata la caccia ad un’orsa con due orsacchiotti inseguiti da cacciatori a cavallo, cani e servi con picche.

In un cippo etrusco conservato al British Museum, Londra è rappresentato il ritorno dalla caccia di alcuni giovani uomini, quello più a sinistra porta penzoloni dalle spalle due lepri.

Nell’opera di Pieter Bruegel il vecchio (1530 – 1569) Cacciatori nella neve (1565) al Kunshistorische Museum di Vienna sono rappresentati degli uomini a piedi con delle picche e cani, che da una collina si dirigono verso la parte più bassa dove si intravedono delle case. La critica suggerisce che gli uomini stiano tornando dalla caccia verso il paese dove abitano. Non hanno con loro la selvaggina, pertanto potrebbero essere i servi che con le picche aiutano i loro signori che praticano la caccia a cavallo.

Un altro ritorno dalla caccia è quello dipinto da Piero di Cosimo (1462 – 1522) al New York Metropolitan Museum. Lo stesso tema si trova anche nel dipinto Il picnic al ritorno dalla caccia di Nicolas Lancret (1690 – 1743) alla National Gallery Washinton.

 

L’uccellagione

In altri casi la caccia agli uccelli veniva praticata con meccanismi ingannevoli o con l’aiuto di uccelli tenuti in gabbia, detti richiami o zimbelli, che avevano lo scopo di attirare i volatili liberi nell’ambiente, o con l’aiuto di reti disposte in modo strategico. Vedi a questo proposito l’affresco staccato del Guercino e collaboratori alla Pinacoteca Comunale di Cento dove le reti formano una specie di piccolo tunnel, posizionato al suolo, chiuso ad una estremità, le gabbie con i richiami sono poste al suolo, ai lati del tunnel.

L’ Uccellagione in Italia ha una lunga tradizione ed è stata proibita con l’articolo 3 della legge n° 157 del 1992 allo scopo di mantenere entro certi limiti la presenza dei piccoli volatili spontanei nell’ambiente. È invece permessa la caccia con i fucili e solo quando ormai gli uccelli si sono riprodotti. Inoltre si reintegra la fauna uccisa con l’immissione periodica di animali allevati in cattività per questo scopo. L’uccellagione, invece non aveva limiti temporali e poteva avvenire lungo tutto l’anno, prima, durante e poco dopo la nidificazione. I volatili venivano catturati più facilmente con le reti e i richiami nei loro momenti più difficili. Per gli stanziali questi sono durante l’inverno, soprattutto quando il suolo è coperto di neve e la possibilità di trovare del cibo è ridottissima. Per i migratori durante la primavera quando tornano dai paesi caldi dove hanno svernato, sono esausti e cadono facilmente nei tranelli posti dall’uomo.

Nonostante la legge lo vieti, alcuni tipi di uccellagione sono ancora praticati, soprattutto in montagna, perpetuando un’antica tradizione.

Per praticare l’uccellagione non è mai stata necessaria una licenza così come non si dovevano rispettare delle regole per chi la esercitava. Era praticata, come vedremo anche successivamente, sia dai grandi proprietari, nobili e ricchi borghesi, sia dai coloni e dai mezzadri. Non sappiamo se in questo caso c’era l’obbligo di dare al proprietario della terra metà degli uccelli catturati, così come era la regola della mezzadria (ANSELMI 2001).

Oggi gli uccelli sono catturati con le reti solo per scopi scientifici, cioè per essere inanellati e seguiti con il telerilevamento in modo da conoscere alcune delle loro abitudini, valutare l’area dove vivono e conoscere i loro movimenti. Nel caso dei migratori per valutare il tragitto percorso durante l’andata e ritorno (www.ebnitalia.it/it/news-164/scienza-e-ornitologia.html?NewsID=164) .

Di seguito vengono descritte le modalità più semplici di uccellagione documentate, soprattutto, dalla tradizione orale in Toscana.

Un tipo di uccellagione praticata prevalentemente in inverno e con la neve è quella di bloccare gli uccelli tra due superfici rigide. Veniva usata una pesante porta o delle tavole unite a formare una superficie piatta che veniva appoggiata a terra su uno dei lati minori, l’altro lato stretto appoggiava su dei pioli, sotto la tavola venivano sparsi dei semi o altro cibo che serviva da esca per attirare gli uccelli. Quando gli uccelli beccavano l’esca, degli uomini nascosti tiravano le funi a cui erano legati i pioli che così cadevano facendo precipitare la porta che schiacciava la preda. Un esempio di caccia di questo tipo si trova nel quadro del pittore fiammingo Peter Brueghel detto Il Vecchio (1530 – 1569) Paesaggio invernale con pattinatori e trappola per uccelli, Kunsthistorishe Museum, Vienna. Quest’opera ci suggerisce anche che questo tipo di caccia veniva effettuata soprattutto in inverno e con la neve. In questi casi gli uccelli attratti nella trappola sono solo quelli stanziali che con la neve non trovavano cibo.

Un’altra modalità di uccellagione con basso investimento consiste nel bloccare le zampe o il piumaggio dei volatili con un fluido altamente viscoso, derivato dal trattamento dei frutti di una pianta parassita, la pania (Arceutobium oxycedri – Santalacee) presente solo in Toscana e nelle Marche, (PIGNATTI 1982), è di piccole dimensioni, senza foglie proprio perché parassita, di un giallo vivace, quasi fosforescente, i suoi rametti spuntano dai rami delle piante che la ospitano. I frutti, simili per dimensioni a quelli del vischio, ma gialli, maturano in autunno – inizio inverno, cioè nel periodo in cui si praticava l’uccellagione. Dal trattamento di questi frutti si ottiene un fluido estremamente viscoso che non si essicca con il tempo. Questo fluido può essere spalmato su piccole superfici piatte appoggiate tra i rami oppure su un tessuto fitto. In questo caso il telo è tenuto tra due pali da una persona mentre un’altra, mediante delle reti, convogliava gli uccelli verso la pania.

Tipi di caccia agli uccelli più elaborati rispetto ai precedenti sono quelli che necessitano della presenza di reti; questi possono essere distinti in mobili, perché di piccole dimensioni e facilmente trasportabili e fissi, perché le reti vengono stese tra i rami di alberi e arbusti.

Il paretaio è un sistema mobile formato da due reti rettangolari disposte ortogonalmente, della dimensione massima di pochi metri nel lato maggiore; sulla parte posizionata al suolo vengono posti dei semi per attirare gli uccelli, il lato verticale viene chiuso a scatto con una rotazione di novanta gradi verso il basso, imprigionando gli uccelli attratti dai semi.

La prodina è un sistema mobile simile al precedente, entrambe le reti sono disposte orizzontalmente sul suolo e vengono chiuse a scatto con un movimento di rotazione di novanta gradi verso l’alto.

I sistemi di caccia fissi presumono la presenza di vegetazione dove tendere le reti e di richiami, cioè di altri uccelli che hanno lo scopo di attirare quelli spontanei sia stanziali che di passo, cioè quelli migratori. Esistono vari tipi di strutture fisse.

Il roccolo è un appostamento fisso per la cattura di uccelli mediante reti posizionate tra i rami di alberi disposti in cerchio con uno spiazzo centrale dove si trova una struttura verticale a forma di torre. Nella parte bassa sono appese le gabbie con i richiami, in alto si trova il roccolatore, cioè colui che lancia un panno che spinge gli animali a posarsi fra gli alberi dove rimangono impigliati nelle reti. Tipico delle zone montane.

La bresciana consiste in un appostamento fisso composto da un quadrilatero di alberi chiuso da reti. Al centro dell’area si posizionavano gli uccelli da richiamo, ai quali si tagliavano le penne timoniere e le remiganti allo scopo di impedirne il volo. Gli uccelli di passo, attirati dai richiami, si calano all’interno dell’area circondata da reti. Un uomo, azionando una pertica o una fune, provocava lo sbattimento di una serie di barattoli che, spaventando gli uccelli, li spingevano verso le reti rimanendo intrappolati.

Il palmone è un appostamento fisso costituito da un sistema di panie eretto su pertiche con l’impiego di uccelli da richiamo nelle gabbie.

La ragnaia è un sistema di uccellagione dove delle reti, le ragne (dette così perché simili alle ragnatele) vengono disposte in maniera strategica sugli alberi, in modo da indirizzare gli uccelli in una via senza uscita in modo che possono essere catturati. Gli uccelli liberi sono indotti a entrare nella ragnaia perché attratti da altri uccelli in gabbia, i richiami, e dai frutti di alcuni alberi che compongono la vegetazione della ragnaia. La ragnaia ha un corrispettivo simile nella pesca alla nassa. In entrambe c’è un’esca disposta in una trappola da cui chi viene attratto non riesce a uscire.

Sulla ragnaia esistono pochissimi contributi; completo e dettagliato è quello di PASOLINI – DALL’ ONDA (1989) che si occupa quasi esclusivamente di ragnaie toscane e porta moltissimi esempi del territorio intorno a Firenze.

Le ragnaie hanno una loro geometria, sia esternamente che internamente, cioè le piante sono disposte secondo un preciso schema funzionale per permettere la cattura degli uccelli per mezzo delle reti. I rami degli alberi che compongono la ragnaia erano periodicamente piegati e potati perché il fogliame fosse il più fitto possibile di modo che le reti fossero dissimulate e non percepite dai volatili.

Le ragnaie possono essere posizionate più o meno vicino alla villa, ma ci sono anche le ragnaie isolate nella campagna, spesso all’apice di una collina.

Le ragnaie più comuni sono quelle definite secche perché in opposizione alle umide che si trovano in posti con acqua stagnante, dove venivano cacciati gli uccelli acquatici come i germani. All’esterno è sempre predominante il leccio potato. Siccome un albero maturo di leccio occupa un grande volume, in una ragnaia a pianta rotonda non si incontra mai un numero superiore a dieci individui (VENERINI 2002 – 2003). Al leccio si accompagnano talvolta e in numero sempre ridotto la quercia caducifoglia roverella e anche arbusti con frutti carnosi di non grandi dimensioni che maturano in autunno: viburno, sorbo, corbezzolo, alloro che potrebbero funzionare come attraenti. Una ragnaia difficilmente può essere restaurata perché, quando alcuni alberi si ammalano, vengono abbattuti per impedire che la malattia si diffonda, si interrompe così la continuità e si notano i vuoti. Se anche si può ricreare la struttura verde, ed è comunque molto costoso, si sono perse certe conoscenze riguardo al posizionamento delle reti, per questo spesso queste strutture sono abbandonate. Se anche sopravvivono non sono più usate perché la legge contro l’uccellagione ne impedisce l’uso.

L’ origine delle ragnaie è certamente antica, con probabilità nell’ alto Medioevo, come derivazione da altre forme di uccellagione (PASOLINI DALL’ONDA 1989). Circa il periodo in cui sono cadute in disuso si può dire che questo è incominciato agli inizi dell’ottocento quando i fucili da caccia sono divenuti alla portata della borghesia agiata e terriera

PASOLINI DALL’ONDA (1989) nel suo ben articolato studio sulla ragnaia rileva come essa sia una parte del giardino storico. Lo stesso autore afferma che nelle Lunette di Giusto di Utens (? – 1609) che rappresentano le ville Medicee di Petraia, Pitti, Pratolino, Seravezza sono riconoscibili delle ragnaie. Inoltre individua ragnaie tutt’ora riconoscibili in varie ville toscane: Villa Il Casale, attigua alla villa medicea La Petraia; Villa Tattoli presso Cerbaia nel comune di San Casciano; Villa La Falla, presso Compiobbi, Firenze; Villa Reale a Marlia, Lucca; Villa Montalbano ex Panciatici, presso Pistoia; dato che questo elenco deriva da una pubblicazione del 1989 non è detto che queste ancora oggi siano in buone condizioni e fruibili dai visitatori. Per esperienza personale conosco diversi casi in cui i giardini storici ed anche una ragnaia sono stati abbandonati per evitare le spese di manutenzione o distrutti da giardinieri improvvisati (PACINI 2000).

Circa gli uccelli catturati con le reti alcuni morivano altri restavano traumatizzati, questi venivano usati come zimbelli da richiamo. Era pratica comune accecare i richiami così che potessero cantare indipendentemente da quello che li circondava. I richiami erano dello stesso tipo degli uccelli che venivano catturati. Venivano tenuti in gabbia e veniva somministrato loro del cibo che li facesse cantare. I richiami potevano essere allevati degli stessi cacciatori o comprati alle fiere.

 

La caccia con armi da fuoco

I fucili furono inventati per scopi bellici durante il Rinascimento, ma erano poco pratici perché ingombranti e avevano un solo colpo in canna (PIERONI 1967), la ricarica necessitava di tempo e non erano state inventate le cartucce. Gli antenati degli odierni fucili sono rappresentati in alcuni dei sette arazzi della Collezione Avalos conservati al Museo di Capodimonte a Napoli, rappresentano scene della battaglia di Pavia (1525), tra l’esercito di Carlo V e Francesco I che combattevano per il possesso del nord Italia.

I fucili divennero più maneggevoli e cominciarono ad essere usati per la caccia nel XVIII secolo soprattutto tra la nobiltà inglese come dimostrano due opere Mr and Mrs Andrew (1750) di Thomas Gainsborough (1724 – 1788), London National Gallery e Clothworthy Skettinntonlater 1st earl of Massereene, di Joshua Reynolds (1723 – 1792), collezione privata. In queste opere e in altre del medesimo periodo e nazione i fucili vengono esibiti insieme all’abbigliamento e a tutto quello che denota lo stato sociale delle persone ritratte.

La caccia con il fucile non era praticata solo dagli uomini ma anche dalle donne come mostra l’opera del pittore Jan Frans Van Douven che rappresenta l’elettrice palatina Anna Maria Luisa de’ Medici (…) che tiene un fucile per la canna con la mano destra, (Palazzo Pitti).

In Italia i fucili divennero più comuni agli inizi dell’ottocento.

La caccia con i fucili era ed è praticata in gruppo o singolarmente, in genere la caccia ad animali di piccola taglia è individuale. Per la caccia al cinghiale invece si organizzano dei gruppi con differenti compiti: un gruppo si apposta con i cani e ha il compito di spingere l’animale, facendo rumore, verso l’altro gruppo che, fornito di fucili, deve colpirlo. Questa modalità di caccia è ancora in uso in Toscana. Il pittore macchiaiolo Eugenio Cecconi (1842 – 1903) nell’opera Partenza per la caccia al cinghiale (collezione privata), ci mostra questo tipo di organizzazione. Va ricordato che i pittori Macchiaioli rappresentano spesso paesaggi della Maremma toscana e scene di caccia

Un’altra modalità di caccia con i fucili, ancora in uso nel territorio italiano, e con appostamento fisso è quella detta al capanno. Gli uccelli non vedono il cacciatore che sta nascosto da una struttura coperta da frasche. Il capanno può essere al suolo o su una piattaforma alla sommità di un albero per avere una visione più ampia. I capanni per la caccia agli uccelli di palude sono invece su degli isolotti o barchette. Una bella descrizione del capanno è quella fatta da Stendhal (Henry Beyle 1783 – 1842) nel suo libro Memorie di un turista (1977) quando racconta di un capanno di caccia presso Marsiglia dove è stato invitato: “i fucili sono artisticamente introdotti in certi piccoli fori praticati nelle fascine che formano i muri di questa rustica costruzione”.

 

Luoghi dove veniva praticata la caccia

La caccia viene praticata nei boschi e nelle zone umide, sia libere che di proprietà, queste sono chiamate riserve. Ne esistono alcune che risalgono al XVI e XVII secolo, tra queste è da ricordare il Bosco della Mesola con l’annesso castello omonimo, nella provincia di Ferrara, voluto da Alfonso II da cui partivano i cacciatori a cavallo per la caccia al cervo rosso delle dune, l’unico cervo indigeno oggi presente nel territorio italiano (ZACHOS et al. 2014).

Anche i Savoia avevano dei castelli con annesse riserve di caccia non lontano da Torino, una di queste la Venaria regale, porta nel nome il significato di cosa vi si praticava. L’edificio principale fu edificato a partire dal 1675 per volere del duca di Savoia Carlo Emanuele II. Nella sala di Diana, al lato della porta che dà sul giardino, si trova un quadro di Jean Miel (1599 – 1666) che rappresenta La caccia del cervo.

Una villa o un castello della Toscana nei secoli XVI – XVIII era normalmente circondata da un giardino formale (CAZZATO), ma spesso anche da un’altra parte verde, non strutturata, definita generalmente selvatico (PASOLINI DALL’ONDA 1989), perché la vegetazione era mantenuta quasi allo stato spontaneo (CHIOSTRI 1988), questa zona era posizionata più o meno vicina alla villa o castello (NEPI 2002), si trattava in genere di un bosco di lecci. Però mentre il giardino formale aveva la funzione di esibire la ricchezza e il gusto estetico dei proprietari, il selvatico aveva uno scopo essenzialmente utilitaristico. Nella maggioranza delle lunette delle Ville Medicee di Giusto di Utens è riconoscibile questo selvatico (PASOLINI DALL’ONDA 1989), inoltre in due di queste sono rappresentati episodi della caccia al cinghiale (La Peggio) e al cervo (La Magia).

Il selvatico non è continuo con la natura boscosa circostante, ma delimitato da mura entro cui avveniva la caccia. I cacciatori erano favoriti dal fatto che in questo spazio circoscritto venivano immesse delle prede poco prima che la caccia avesse inizio. Questo sistema è ancora in uso nel Regno Unito con la caccia alla volpe.

Gli animali che venivano cacciati erano gli uccelli di passo e quelli allevati a parte e poi immessi nell’area poco prima della caccia. La caccia nel selvatico era prerogativa dei regnanti, dei nobili e degli alti borghesi, le classi sottoposte si muovevano al seguito a piedi con armi da taglio, normalmente picche ed erano esposti alla ferocità delle prede.

 

CONCLUSIONI

Il paesaggio cambia sempre con il tempo, in seguito all’attività dell’uomo e agli eventi climatici. Il paesaggio toscano è cambiato molto soprattutto nel secolo scorso anche in conseguenza della cessazione della mezzadria e dell’introduzione di nuovi tipi di colture e pratiche agricole.

Da un punto di vista sociale si può dire che la caccia, per divertimento o per procacciarsi del cibo, è stata in uso in tutte le classi sociali, talvolta quelle inferiori avevano delle funzioni ancillari come nel caso di caccia a cavallo con servi, con o senza picche che spingono i cani; però è il signore a cavallo che uccide la preda.

Un tipo di caccia ancora presente e caratteristica delle classi abbienti è il safari che continua in epoca moderna il gusto antico dell’uomo che combatte contro i grossi animali, questo non è più possibile in Europa continua perciò in Africa.

A causa della diminuzione della fauna selvatica in varie epoche sono state introdotte specie simili a quelle locali, provenienti da regioni anche molto lontane, questo ha alterato l’equilibrio con la fauna autoctona, in alcuni casi questa è stata addirittura soppiantata, un esempio sono i daini che in alcuni regioni hanno prevalso sui caprioli.

La pratica della caccia sta scomparendo nel mondo contemporaneo non solo perché è moralmente condannata, ma anche perché gli animali selvatici stanno estinguendosi per la mancanza di spazi e per l’inquinamento. Secondo il WWF la fauna selvatica negli ultimi cinquanta anni si è ridotta di due terzi. Diventa perciò importante ricordare il valore che essa ha avuto nella storia e le varie modalità di praticarla

 

RINGRAZIAMENTI

Ringrazio i colleghi prof. Enrico Alleva e Sandro Lovari per alcuni suggerimenti sugli animali cacciati. Mia figlia Livia per avermi suggerito alcune immagini di caccia, inoltre anche mia moglie che mi ha aiutato nell’organizzazione delle varie parti del testo.

 

BIBLIOGRAFIA

ARBASINO A., Le Muse a Los Angeles. 2000, Adelphi

BAHNP., History of Prehistoric art. Cambridge University Press, Cambridge.1998.

CASTELNUOVO E, Il ciclo dei Mesi d Torre Aquila a Trento. Provincia Autonoma di Trento,2015.

CAZZATO V., Ville, Parchi e Giardini. Per un Atlante del patrimonio vincolato. Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, Ufficio Studi. Poligrafico dello stato, Roma. 1992, pagg 664.

CHIOSTRI F., Giardini storici. Volume in onore del centenario della Società Botanica Italiana 1988 – 1988, pp. 280 – 288.

MORIONDO F. PAOLETTI E. 2002. Problemi sanitari delle alberature dei giardini storici. In: Metodologie di studio per i giardini storici. Pp. 189 – 195. Quaderno n° 8 dell’Archivio Italiano dell’Arte dei Giardini, Comune di San Quirico d’Orcia.

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