Verità e miraggi sulla fusione nucleare

La nostra maggiore fonte di energia oggi proviene da carburanti fossili che producono poco più del 70% del fabbisogno nel mondo. Il restante è prodotto da fonti rinnovabili e nucleari. Si prevede che nel 2030 eolico e solare PV arriveranno a produrre il 33%. L’energia rinnovabile è conveniente (costo inferiore a 50$/MWh) ma è intermittente e quindi una parte richiede di essere immagazzinata per un’efficiente gestione delle reti elettriche. Utilizzo di batterie e produzione di idrogeno possono risolvere il problema ma rappresentano un appesantimento dei costi e richiedono importanti miglioramenti tecnologici.

È comunque difficile pensare di essere in grado di eliminare completamente i combustibili fossili senza ricorrere all’utilizzo dell’energia nucleare, che sia prodotta da processi di fissione o di fusione.

In una reazione di fissione un nucleo si scinde in due più leggeri, in una reazione di fusione due nuclei si fondono per formarne altri più leggeri, in entrambi i casi sotto opportune condizioni. La differenza di massa si trasforma in energia in accordo con la legge E=mc2 di Einstein. I reattori a fissione sono oggi utilizzati (ce ne sono più di 450 nel mondo) ma tutti di vecchia generazione con problemi importanti di sicurezza, approvvigionamento di combustibile (uranio), smaltimento delle scorie e proliferazione. Il futuro è rappresentato dai reattori veloci di quarta generazione a piombo la cui realizzazione è prevista intorno al 2030.

In questi giorni si parla molto di fusione nucleare perché nel 2022 sono stati annunciati risultati che hanno permesso a molti di speculare sui tempi necessari per la costruzione di un reattore. La fusione nucleare avviene in natura essendo il processo che fornisce l’energia al Sole e alle stelle. Per vincere la repulsione Coulombiana tra i nuclei caricati positivamente e permettere un numero sufficiente di reazioni nucleari è necessario aumentare la temperatura e la densità del plasma a valori molto elevati, il che comporta grandi problemi di contenimento dei reagenti. I due filoni principali di ricerca sono la fusione a confinamento magnetico che utilizza campi magnetici molto intensi per confinare il plasma scaldato a milioni di gradi e la fusione inerziale che sfrutta laser potentissimi per creare un effetto simile a quello generato dalla gravità i due esperimenti che assorbono la maggior parte dei finanziamenti sono l’International Thermonuclear Experimental Reactor (ITER) nel primo filone e il National Ignition Facility (NIF) nel secondo. In entrambi i casi le reazioni di fusione utilizzate sono quelle tra i due isotopi dell’idrogeno Deuterio (D) e Trizio (T), che sono stati scelti perché si innescano a temperature più basse di quelle D-D o del ciclo carbonio-azoto-ossigeno che avvengono nei nuclei delle stelle. Il Deuterio si può ottenere in abbondanza dall’acqua di mare ma il Trizio è molto scarso in natura. Può essere prodotto utilizzando l’assorbimento dei neutroni in uno strato di Litio (Litio-6), processo complesso e costoso che deve essere gestito assicurando la sicurezza e i rischi biologici.  La produzione di Trizio rappresenta il primo problema ancora irrisolto nell’ambito della fusione.

La configurazione più studiata nell’ambito del confinamento magnetico è il Tokamak, una camera a vuoto di forma toroidale in cui viene immesso un gas di Deuterio e Trizio, scaldato con varie tecniche a temperature di decine di milioni di gradi. Alla categoria dei Tokamak appartiene ITER che è un progetto multimiliardario (dai previsti 6 miliardi iniziali siamo passati a più dei 25 attuali) in costruzione in Francia a Cadarache sostenuto da USA, Russia, Unione Europea, Giappone, Cina, India e Corea. ITER si promette di ottenere una potenza termica totale da fusione di 500 milioni di watt (MW) iniettando 50 MW di energia per il riscaldamento del gas D-T. Se le aspettative saranno soddisfatte, e molte sono le incognite legate al comportamento del plasma in condizioni di fusione, questo sarebbe un risultato rilevante scientificamente, ma tenendo conto dell’energia necessaria per il suo funzionamento e dell’efficienza di produzione di energia elettrica a partire dall’energia prodotta dalla fusione, assolutamente lontano da rendere ITER un prototipo di reattore a fusione. È auspicabile che almeno ITER contribuisca a sperimentare nuovi materiali da utilizzare per la camera a vuoto. Quelli attuali sarebbero danneggiati dal flusso di neutroni prodotti dal processo di fusione, che possono produrre lesioni con conseguente necessità di sostituzione e smaltimento di materiale divenuto radioattivo.

Il programma di testare la produzione di Trizio utilizzando l’assorbimento dei neutroni in uno strato di Litio-6 che avvolge il plasma è stato rinviato a dopo il completamento del programma al momento previsto dopo il 2035, molto dopo l’aspettativa iniziale del 2025. Nel Febbraio 2022 presso il Joint European Torus (JET) si erano ottenuti 59MJoule mantenendo accese le reazioni di fusione per 5 secondi e provocando da vari ambienti commenti entusiastici. Risultato rilevante scientificamente, ma da cui non si può concludere che ITER sarà un successo e tantomeno dedurre una previsione sui tempi necessari per il raggiungimento di un reattore a fusione.

In questi giorni è stato annunciato che per la prima volta nella storia il NIF ha prodotto dalla fusione una quantità di energia (3.15 MJoule) superiore a quella (2.05 MJoule) che il laser ha depositato nella piccola capsula contenente Deuterio e Trizio, un concetto noto come “net energy gain” (guadagno netto di energia). È sicuramente un risultato di grande rilevanza scientifica in quanto è stato dimostrato che il plasma “ignisce”, cioè una volta accese le reazioni, il calore delle reazioni riscalda ulteriormente il plasma. Non era mai successo prima. Il bilancio totale dell’energia, tenendo conto che per alimentare il laser NIF sono necessari più di 300 MJ di energia, rimane comunque largamente deficitario. Grandi progressi sono necessari per ottenere laser più efficienti sotto il profilo energetico con un rendimento molto migliore e con la possibilità di essere utilizzati a frequenza molto più elevata dell’attuale, che è di uno sparo una volta al giorno per tempi brevissimi. Inoltre, le singole capsule di combustibile (sono di mezzo millimetro di diametro) sono prodotte attraverso sistemi sofisticatissimi e sono perfino rifinite a mano con il microscopio. I costi e i tempi di produzione sono molto alti.

Difficoltà ancora maggiori sono legate alla tecnologia necessaria a trasformare l’energia prodotta dalla fusione sotto forma di raggi alfa e neutroni in energia utile per essere sfruttata da un generatore. La problematica esiste in entrambi i casi di confinamento magnetico e inerziale, ma con caratteristiche molto diverse legate alla profonda diversità delle due configurazioni. Questo è un aspetto su cui molto poco è stato fatto da un punto di vista ingegneristico.

In conclusione, la realtà è poco incoraggiante vista la situazione che ho cercato di riassumere in questa breve nota. Aggiungo che dopo più di sessanta anni di ricerca non è ancora assodato quale sia la tecnologia migliore per ottenere reattori a fusione, vi sono proposte scientifiche con differenze o con variazioni importanti rispetto a quelle maggiormente finanziate, anche con investimenti privati. Anche se sono state fatte scelte strategiche a dir poco discutibili, è importante proseguire nella ricerca scientifica, magari cercando di razionalizzare gli sforzi e di ascoltare le voci critiche che provengono dal mondo scientifico stesso. L’ottenimento di elettricità da energia di fusione appare un miraggio che è quello che spinge troppi a fare previsioni addirittura sull’anno in cui il primo reattore a fusione diventerà operativo, che, unica certezza, NON sarà nella prima metà del secolo, ed è azzardato dire di più.

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