VERSO LA FUSIONE NUCLEARE

Recentemente sono apparsi sulla stampa diversi articoli che riportavano notizie di grandi progressi nelle ricerche sulla fusione termonucleare controllata, un processo che ci consentirà di ottenere energia in quantità sufficiente a soddisfare le richieste energetiche dell’umanità, in maniera sicura e non inquinante. Prima di descrivere questi progressi, prematuramente presentati con toni trionfalistici, vorrei esaminare la situazione con un certo realismo. Se volessimo fare un’analogia con lo sviluppo dell’aeronautica, siamo più o meno allo stadio dell’aereo dei fratelli Wright confrontato con un moderno reattore commerciale. Anzi, non siamo nemmeno a quello stadio, visto che nella nostra analogia l’aereo dei Wright non si è ancora alzato in volo, anche se siamo ragionevolmente sicuri che lo farà. Tuttavia, i risultati ottenuti in laboratori diversi negli Stati Uniti, in Europa e in Cina, sono importanti e incoraggianti.

La fusione nucleare è un processo che porta due nuclei leggeri a fondersi, dando origine ad un nucleo più pesante con un notevole rilascio di energia. La reazione che si considera come la più promettente prevede la fusione di un nucleo di deuterio (D) con uno di trizio (T), entrambi isotopi dell’idrogeno. Si tratta cioè di nuclei che hanno la stessa carica dell’idrogeno ma, rispettivamente, una massa doppia e una tripla rispetto all’idrogeno comune. Si pensi che dalla fusione di un grammo di miscela deuterio-trizio si ricava la stessa energia che proviene dalla combustione di 11 tonnellate di carbone!

In una centrale a fusione una parte rilevante dell’energia di fusione viene trasformata in calore, che a sua volta riscalda dell’acqua producendo vapore. Il vapore aziona una turbina accoppiata con un alternatore che produce elettricità. La reazione deuterio-trizio non produce scorie radioattive, si autosostiene e si autocontrolla.

La fattibilità di una centrale a fusione è descritta dal cosiddetto criterio di Lawson, che descriverò brevemente. La possibilità di innescare la reazione D-T dipende dalla temperatura. Quando la temperatura della miscela D-T è alta, le particelle costituenti si muovono molto velocemente e questo permette loro di vincere la repulsione elettrica tra i due nuclei, che sono entrambi positivi. Questo fa sì che la forza dominante tra i nuclei diventi la forza nucleare che agisce solo su distanze molto brevi.  Le temperature richieste vanno da qualche milione e qualche centinaio di milioni di gradi.  È chiaro inoltre che anche la densità del gas gioca un ruolo: più il gas è denso, maggiore è il numero di reazioni e maggiore la produzione di energia. Esiste infine un terzo parametro, definito come il tempo di confinamento che ci dice per quanto tempo in media possono essere mantenute le condizioni per il funzionamento del reattore. Ebbene, il criterio di Lawson stabilisce che il prodotto di densità, temperatura e tempo di confinamento debba superare un certo valore. Se rimaniamo al di sotto di questo valore la reazione non si produce. Finora nessun esperimento ha superato il valore critico, ma ci stiamo avvicinando.

Nella situazione che si verifica all’interno di un reattore, la miscela di deuterio e trizio cessa di essere un gas e diviene un plasma, uno stato in cui le particelle cariche possono muoversi liberamente. Lo stato di plasma è estremamente comune nell’Universo (oltre il 90%) ma, fortunatamente, è praticamente assente sulla Terra. È chiaro che il plasma in cui avvengono le reazioni debba essere isolato dalle pareti del contenitore: nessun materiale potrebbe resistere a quelle temperature. È quindi necessario isolare il plasma e questo si può fare, sfruttando il fatto che le particelle cariche che costituiscono il plasma sono molto sensibili alla presenza di campi magnetici. Scegliendo opportunamente la struttura di questi campi magnetici è possibile confinare il plasma. I campi magnetici, a loro volta, sono generati da correnti elettriche che circolano in bobine, opportunamente sagomate. Ma per realizzare campi magnetici di valore elevato, come quelli richiesti per il confinamento, bisogna usare correnti molto forti. E, come nel caso di una stufa elettrica, viene generato calore che rappresenta una perdita netta di energia. Si tratta quindi di fare un bilancio tra le perdite legate alle correnti forti e l’eventuale energia rilasciata dalle reazioni nucleari. Attualmente tutta l’energia fornita per generare le correnti è perduta perché le reazioni non si producono.

Come se ne esce? Utilizzando magneti superconduttori che riescono a produrre campi magnetici elevati con correnti relativamente deboli. Questo è uno dei progressi recenti: negli Stati Uniti sono stati realizzati, anche con contributo italiano, magneti superconduttori con le caratteristiche desiderate. Gli altri progressi riguardano la formazione di plasmi ad alta temperatura e l’aumento dei tempi di confinamento. Nei laboratori del JET, macchina sperimentale, situata in Inghilterra e gestita da un consorzio europeo che comprende anche l’Italia, si sono ottenute temperature di circa 150 milioni di gradi per 5 secondi. In Cina una macchina analoga ha funzionato per più di 17 minuti alla temperatura di 70 milioni di gradi. Queste prestazioni sono ancora al disotto di quelle previste dal criterio di Lawson, ma la strada sembra ormai tracciata.

E il futuro? La prossima macchina sperimentale, ITER, in costruzione da parte di un consorzio mondiale nel Sud della Francia, dovrebbe arrivare alle condizioni di ignizione entro il 2030: solo allora l’aereo dei Wright avrà preso il volo. ITER ha richiesto l’impegno di risorse finanziarie così ingenti che nessun Paese da solo avrebbe potuto permettersele. Le centrali per produrre energia in modo sostenibile finanziariamente sono ancora lontane. Ma ci arriveremo.

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