Premio Nobel per l’economia

Il premio Nobel per l’economia, ufficialmente premio della Banca di Svezia per le scienze economiche in memoria di Alfred Nobel, è stato assegnato la settimana scorsa a William Nordhaus e Paul Romer, entrambi statunitensi. Da quando è stato istituito, nel 1969, grazie a uno speciale fondo della Sveriges Riksbank (che in quell’anno festeggiò i 300 anni dalla sua fondazione), non è stata rara la sua assegnazione a due (o anche tre) studiosi, che abbiano svolto studi e ottenuto risultati salienti in un medesimo ambito di ricerca. Queste assegnazioni condivise sono frequenti anche per i premi nel campo delle “scienze dure” – e anzi sono da sempre la regola nel caso del Premio per la Fisica – e corrispondono ai contributi degli studiosi ad una medesima scoperta o ad uno stesso campo di ricerca. In questo caso, invece, le motivazioni sono diverse: William Nordhaus è stato premiato “Per aver integrato il cambiamento climatico nell’analisi macroeconomica di lungo periodo”; Paul Romer, “Per aver integrato le innovazioni tecnologiche nell’analisi macroeconomica di lungo periodo”.

La grande comunicazione li ha accomunati sotto il titolo di “teorie economiche che riguardano l’ambiente”, forse per effetto della dichiarazione fatta dalla Commissione, secondo la quale i due studiosi “hanno sviluppato metodi che affrontano alcune delle sfide fondamentali e più urgenti del nostro tempo: combinare la crescita sostenibile a lungo termine dell’economia globale con il benessere della popolazione del Pianeta”. Ed effettivamente gli oggetti di studio di Nordhaus e di Romer sono componenti salienti dell’obiettivo dello sviluppo sostenibile, che esige un’equità intergenerazionale attraverso attività economiche che consentano la cura della Terra, ambiente comune da lasciare in eredità alle generazioni future, così come un’equità infragenerazionale, ossia la diffusione del benessere e la riduzione delle disparità fra tutti i paesi.

 

Alla prima dimensione fanno riferimento le ricerche di Nordhaus. Professore della Yale Univeristy, 77 anni, William Nordhaus è tra i massimi studiosi della relazione tra l’economia e i cambiamenti climatici, in particolare il riscaldamento globale.

L’interesse di Nordhaus per la sostenibilità della crescita risale almeno al 1973, quando con James Tobin (che il Nobel lo ha vinto nel 1981 per le sue analisi sui mercati finanziari) ha pubblicato “Is Growth Obsolete?” (The Measurement of Economic and Social Performance. Studies in Income and Wealth, National Bureau of Economic Research, n. 38), un articolo che criticava il PIL e introduceva nuove misure del benessere economico come primo modello di sostenibilità economica. Successivamente ha cominciato ad occuparsi esplicitamente dei problemi del cambiamento climatico, sviluppando modelli che ‘prevedono’ gli effetti di tali mutamenti sui vari settori e proponendo una carbon tax globale sulle emissioni di C02, capace di condizionare il mercato, spingendo imprese e consumatori ad adottare soluzioni con minor impatto ambientale, in quanto più convenienti, grazie anche a incentivi a favore dell’energia sostenibile.

E’ suo il famoso aforisma: ‘L’umanità sta giocano a dadi con l’ambiente naturale’ (“Reflections on the economics of climate change”, Journal of Economic Perspectives,1993, 7(4), pp.11-25, p.11).

 

Paul Romer ha 63 anni e, dopo aver insegnato nell’ Università di Stanford, è stato chief economist e vice presidente della Banca Mondiale fino allo scorso giugno, quando si è dimesso; oggi insegna alla Stern School of Business della New York University.

Con i suoi studi ha dato un importante impulso alla ‘teoria della crescita endogena’, mostrando come le innovazioni tecnologiche dipendano in gran parte dal ‘learning by doing‘ e dalla specializzazione produttiva ed enfatizzando quindi il ruolo del capitale sociale nello sviluppo. Alla base della teoria della crescita endogena c’è l’ottimismo (condizionale): “Ci sono due tipi di ottimismo molto diversi – ha suggerito Romer – l’ottimismo compiacente è la sensazione di un bambino in attesa di regali. L’ottimismo condizionale è invece quello di un bambino che sta pensando di costruire una casa sull’albero. ‘Se trovo un po’ di legna e persuado altri bambini a lavorare insieme possiamo costruire qualcosa di veramente bello’”.

Romer, intervistato in diretta da Stoccolma, si è speso anche lui per l’ambiente, in chiave ottimistica: “Un problema è rappresentato dal fatto che molti pensano che la tutela dell’ambiente sia così costosa e difficile, che preferiscono ignorare la questione o pretendere che non esista un problema. Invece […] possiamo raggiungere risultati stupefacenti. Se iniziassimo a ridurre le emissioni di gas serra, resteremmo stupiti nello scoprire che non è così difficile come si pensava.  Un altro problema può essere rappresentato dai rapporti molto allarmistici sulle conseguenze dei danni del clima: rischiano di rendere le persone apatiche e senza speranze […] dobbiamo assolutamente fare progressi sulla tutela dell’ambiente e dobbiamo riuscire a compierli senza frenare la crescita sostenibile”.

Un discorso e un premio in singolare sintonia e sincronia con il rapporto dell’IPCC – Intergovernmental Panel on Climate Change, il più importante organismo scientifico, dedito da trent’anni alla ricerca su come sta cambiando il clima della Terra, che è uscito negli stessi giorni.

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