Flat Tax

La recente campagna elettorale ha portato in evidenza varie proposte di “tassa piatta” (flat tax). Questo termine è usato per indicare una regola di misurazione dell’imposta che prevede un’aliquota costante (piatta) al variare del reddito. Di solito si tratta dell’imposta personale sul reddito delle persone fisiche, in Italia dell’IRPEF, ma esistono anche applicazioni ad altre imposte: in Italia, l’imposta sul reddito delle società (ires) è una flat tax.

È fissato un livello minimo di reddito, al di sotto del quale l’imposta è nulla. Se il reddito è superiore al minimo, l’imposta è calcolata applicando l’unica aliquota alla parte di reddito che supera il minimo.

L’applicazione della tassa piatta avvantaggia coloro che godono di redditi più elevati, si tratta cioè di una imposta non progressiva: per questo una delle maggiori obiezioni è il mancato rispetto del principio fissato dall’art. 53 della costituzione italiana. A livello formale questa obiezione sembra superabile: con l’introduzione di un reddito minimo esente, mentre rimane costante l’aliquota marginale, quella media (ossia il rapporto tra ammontare dell’imposta e ammontare del reddito) risulta crescente all’aumentare del reddito; ma l’aumento tende presto ad annullarsi, e ciò concorre a far considerare debole questa contro-obiezione e a ritenere che la tassa piatta si ponga in sostanziale contrasto con la progressività.

D’altra parte, l’attuale grande e crescente diseguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza suscita molte critiche e preoccupazioni, espresse anche da un recente documento dell’ISTAT. In questa situazione, rinunciare ai possibili effetti redistributivi del sistema fiscale appare assai discutibile e può essere giustificato solo mostrando che la flat tax ha significativi benefici netti di altro genere. In questa direzione, gli argomenti avanzati riguardano il fatto che la flat tax ridurrebbe l’evasione fiscale e il fatto che stimolerebbe aumenti nel livello complessivo della produzione e del reddito.

Il primo punto è difficilmente dimostrabile a priori, l’evasione essendo connessa ad un insieme complesso di cause di varia natura (aspetti storici, etico-sociali, burocratici, …): questa pluralità di elementi causali rende anche molto difficile trasferire all’Italia alcune esperienze positive realizzate altrove.

Vi sono argomenti più solidi ed esperienze più facilmente trasferibili riguardo all’effetto della flat tax sul livello di produzione e di reddito. Tuttavia essi riguardano non la flat tax in senso specifico quanto la riduzione delle imposte in senso lato: la sovrapposizione tra i due tipi di interventi, spesso utilizzata nella recente campagna elettorale, è assai discutibile, sia sul piano logico sia perché insistere sulla flat tax fa perdere l’elasticità di una riduzione delle imposte differenziata, che mantenga anche elementi di progressività.

Vi è un’ampia, anche se in parte contestata, letteratura circa l’effetto di stimolo alla domanda interna originato dalla riduzione delle imposte e di stimolo alla produzione originato dalla minore sottrazione, in termini di imposte, ai guadagni dei produttori. Ma, in questa seconda direzione abbiamo già ricordato sopra che in Italia l’ires è già una flat tax. Né va dimenticato che alcuni dei possibili esiti positivi di una riduzione delle imposte, anche nella forma della flat tax, nascono dalla concorrenza “fiscale” che si genera tra Paesi, fino al limite di situazioni da “paradiso fiscale”. L’appartenenza all’Unione Europea, all’eurozona in particolare, e più in generale il perseguimento di atteggiamenti cooperativi tra Paesi non sembrano compatibili con l’applicazione di flat tax. Offre un esempio istruttivo al riguardo la vicenda delle politiche protezioniste attivate dall’amministrazione Trump.

A parte il trade off tra contrasto alla disuguaglianza ed effetti positivi sul livello complessivo del reddito, resta comunque il problema di una possibile riduzione del gettito fiscale, con conseguente difficoltà nella copertura della spesa pubblica. Anche accogliendo la tesi che una riduzione delle aliquote faccia aumentare il reddito imponibile, non c’è garanzia che l’aumento del reddito sia sufficiente a compensare la riduzione dell’aliquota. Per risposte attendibili è necessario disporre di un modello di comportamento che analizzi relazioni tra diverse variabili. I modelli disponibili offrono però soluzioni contrastanti: il più favorevole alla flat tax è quello basato sull’effetto Laffer, secondo il quale, almeno entro certi limiti, una riduzione dell’aliquota produce un aumento del gettito. Resta comunque il problema della stabilità di questi risultati: esiti inizialmente positivi, ma deludenti nel medio-lungo termine, hanno portato a ripensamenti e anche al conseguente abbandono della flat tax, come è accaduto nelle esperienze di alcuni Paesi dell’Europa dell’Est

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