La redazione della Costituzione del 1948: l’assemblea costituente

Il 12 gennaio p.v. alle ore 17 il Presidente della Corte Costituzionale prof. Paolo Grossi, nostro socio, inaugurerà, nella nostra sede, il ciclo di lezioni dedicato dalla “Colombaria” ai settant’anni della Costituzione della Repubblica con una prolusione su Le origini della Costituzione italiana. Questa nota del Presidente della Classe di Scienze giuridiche, economiche e sociali introduce al tema.

Lo Statuto ‘elargito’ benignamente da Carlo Alberto di Savoia ai propri sudditi il 4 marzo del 1848 al momento della proclamazione del Regno d’Italia ne divenne la carta costituzionale. E poiché nel proemio lo si decretava “legge fondamentale, perpetua e irrevocabile della monarchia”, dalla fine di questa la sua pressoché secolare esistenza era destinata ad essere travolta.

Il 2 agosto del 1943 un regio decreto legge scioglieva la Camera dei fasci e delle corporazioni, indicendo l’elezione d’una nuova Camera dei deputati entro quattro mesi dalla fine dello stato di guerra. Non si prevedeva ancora la rapida evoluzione successiva, dovuta anche agli eventi bellici, verso il totale cambiamento della forma istituzionale dello Stato: una richiesta sempre più insistente, che ottenne dal Capo dello Stato, cioè dal principe Umberto, luogotenente del Regno, il decreto luogotenenziale 25 giugno 1944, che mentre abrogava il citato decreto del ’43 stabiliva di fare scegliere al popolo italiano “le forme istituzionali” mediante l’elezione “a suffragio universale, diretto e segreto”, d’un’assemblea costituente.

Le tappe principali del percorso, non appena finì il conflitto, furono la nomina d’una Consulta nazionale (non elettiva) per preparare la legge elettorale della Costituente; l’istituzione d’un Ministero per la Costituente per convocare l’assemblea; l’emanazione dell’apposita legge elettorale; l’indizione del referendum sulla forma monarchica o repubblicana del futuro Stato italiano; la convocazione dei comizi elettorali per il 2 giugno 1946.

Vinse la forma Repubblica, con due milioni di voti in più dell’altra opzione; e furono eletti, attraverso il sistema dei collegi plurinominali a liste concorrenti, 550 deputati: i tre partiti maggiori risultarono la Democrazia Cristiana, con 207 rappresentanti, i socialisti con 115, i comunisti con 104. Il 25 giugno del ’46, a Montecitorio, avvenne la prima riunione, presieduta dal decano Vittorio Emanuele Orlando, per insediarsi e per eleggere il presidente dell’assemblea, Giuseppe Saragat.

Quella dell’assemblea investita di poteri sovrani per decidere l’ordinamento statale era un’esperienza con pochi ed incerti precedenti in Italia, concentrati nel biennio di concessione degli Statuti, il 1848-49. Allora si trattò soprattutto di progetti e richieste, di cui erano autori statisti come Giuseppe Montanelli, Terenzio Mamiani, Vincenzo Gioberti: soltanto nello Stato della Chiesa l’iter era giunto all’effettiva elezione dell’assemblea, che aveva redatto e fatto approvare una costituzione, quella del luglio ’49, vanificata dalla repressione seguita al ritorno del Papa – ovviamente per mezzo dei soldati francesi. Gli esempi celebri sono altri, fuori dai territori italiani: la Federal Convention convocata dal Congresso americano del febbraio 1787, a Filadelfia; gli Stati Generali francesi, diventati Assemblea nazionale nel giugno del 1789; i congressi sovietici del 1918 e del 1922; l’assemblea costituente di Weimar.

E ognuna di queste vicende ha una storia particolare, in qualche modo irripetibile. La nostra Costituente del 1946 doveva, come prima mossa, a mente del decreto del marzo, eleggere il Capo provvisorio dello Stato; ed infatti nella terza seduta fu scelto, con abbondante maggioranza, Enrico de Nicola, uno statista davvero notevole, che diventerà poi il primo Presidente della Repubblica. Tra i suoi numerosi meriti, l’invenzione della figura giuridico costituzionale della Luogotenenza, un istituto che permise ai Savoia, nella persona d’Umberto, di recuperare qualche punto di dignità per una monarchia gravemente compromessa col fascismo.

Già nella quarta seduta fu decisa la nomina d’una commissione ristretta, di 75 membri nominati dal presidente proporzionalmente alle forze politiche, per lavorare al progetto di costituzione in modo spedito: erano previsti tre mesi, un termine inverosimile, più volte prorogato fino a farlo coincidere con quello generale della Costituente, cui la legge istitutiva dell’assemblea aveva assegnata una vita di otto mesi, allungabile fino a dodici, ma poi durata ben oltre il periodo prestabilito.

Queste proroghe appartengono alla storia stessa del diritto costituzionale, fanno parte della sua ‘fisiologia’: come di tipo fisiologico è la necessità d’una suddivisione ‘specialistica’ dei lavori. La commissione, presieduta da Meuccio Ruini, fu scissa in tre sottocommissioni, incaricate d’occuparsi rispettivamente dei diritti e doveri civili, dell’ordinamento costituzionale, dei diritti e doveri socioeconomici. La seconda a sua volta si divise in due sezioni, e al suo interno si dette incarico ad un comitato di dieci deputati di occuparsi della materia regionale, materia del tutto nuova. In realtà i compiti risultarono spesso mal distribuiti, si verificarono sovrapposizioni e incomprensioni, tanto che fu giocoforza trovare un rimedio: nacque così il “comitato di coordinamento”, sempre sotto la presidenza del Ruini, composto di 18 membri (e detto perciò “comitato dei Diciotto”), l’organismo cui spettò di portare ad effetto l’opera, redigendo il progetto definitivo dopo aver provveduto a stabilire la struttura del testo costituzionale: ripartizione in parti, in titoli, in articoli, in disposizioni transitorie. I “Diciotto” non furono sempre gli stessi, per avvicendamenti causati da dimissioni; l’elenco complessivo venne a comprendere importanti statisti, uomini politici, giuristi, economisti: da Umberto Terracini ad Aldo Moro, da Tommaso Perassi ad Amintore Fanfani, da Palmiro Togliatti a Costantino Mortati, da Piero Calamandrei a Giorgio La Pira. Dopo un esame da parte della Commissione dei 75, il progetto fu presentato all’assemblea il 31 gennaio del ’47; qualche giorno dopo al Saragat subentrò il Terracini, sotto la cui presidenza avvenne la discussione, dal 4 marzo al 22 dicembre; quel giorno ci fu la votazione finale, e con 453 voti contro 62 la Costituzione della Repubblica italiana fu approvata. Promulgata il 27 dicembre, entrò in vigore il 1° gennaio 1948.

Con la XVII disposizione transitoria, il funzionamento dell’Assemblea fu prorogato fino al 31 gennaio successivo, essendo necessario varare la legge per l’elezione del Senato, gli Statuti delle regioni a Statuto speciale, e la legge sulla stampa.

Il comitato dei 18 aveva operato una serie di aggiustamenti rispetto alla prima redazione – tra l’altro, i princìpi fondamentali furono portati da 7 a 12, inserendo tra di essi norme già presenti in altre sezioni – ed è interessante considerare l’importanza, in un testo della qualità di quello costituzionale, di fatti apparentemente semplici come lo spostamento d’una virgola, la rimodulazione degli enunciati, o anche la collocazione in un titolo o in un altro.

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