Excelsior: la specie umana verso i cieli

In questa settimana, tra un’informazione locale e il meteo, abbiamo appreso che la prima missione spaziale civile e privata, marcata SpaceX, si è appena conclusa felicemente dopo circa 50 orbite attorno alla Terra. Tutti felici, stanno bene ecc. ecc.: insomma, una notizia quasi come un’altra.

Proprio in questi stessi giorni della terza settimana di settembre, anno 1783, i fratelli francesi Joseph-Michel (1740-1810) e Jacques-Étienne (1745-1799) Montgolfier presentavano la loro macchina “ad aria calda”, chiamata Aerostate Révellion dal nome del fornitore del materiale, al re Luigi XIV (1754-1793) e ad una notevole folla. Il pallone di circa 10 metri di diametro, pur soggetto al proprio peso che era superiore ai due quintali, riuscì a levarsi in cielo per alcune centinaia di metri  sopra il parco di Versailles, grazie alla spinta ascensionale fornita dalla forza di Archimede, per la minor densità del gas caldo dell’involucro rispetto a quella dell’atmosfera. Fu veramente l’inizio di una nuova era tecnologica oltre che la realizzazione di un antico sogno dell’uomo: imitare gli uccelli. Più che meritate dunque le onorificenze concesse dal sovrano agli inventori, anche se, nonostante la prospettiva più elevata, non riuscirono a vedere la terribile tempesta in avvicinamento, ormai all’orizzonte. In realtà non vi furono osservatori umani nella cesta, poiché era stato proibito per sicurezza, ma solo tre animali da cortile. Probabilmente per tutti gli astanti, compresa Sua Maestà, il volo fu principalmente fonte di divertito stupore, una nuova meraviglia tra le tante con le quali quel secolo si era deliziato, e non venne compreso piuttosto come lo storico superamento di uno dei limiti naturali dell’umanità.

Fu il primo passo di una inarrestabile successione di progressi, come quando un’altra coppia di fratelli, stavolta statunitensi, Wilbur e Orville Wright, nel dicembre 1903 riuscirono a far staccare dal suolo per quasi un minuto un’altra macchina, ma questa con propulsione a motore e non più così in balìa dei venti.

In questo caso l’attenzione della stampa fu tiepida, così come la consapevolezza dell’impresa presso il grande pubblico, e crebbe solo col progredire degli aeroplani e delle loro caratteristiche. Infine, tra i momenti fondamentali del cammino verticale, il «giant leap» del 20 luglio 1969, epico progetto che ha segnato un’epoca, quando si riuscì davvero a lasciare la «culla natale», come aveva auspicato già ad inizio secolo il fisico russo Konstantin Tchiolkovskij (1857-1935). Allora, invece, grazie a motivi sociali e politici, l’attenzione e la consapevolezza per quell’evento ci furono eccome, addirittura a livello planetario. Il significato mediatico che venne impresso al raggiungimento della Luna fu perfino superiore alle aspettative ufficiali, e superiore anche a quanto realmente si ottenne in seguito: in effetti, più che aprirsi una nuova fase nella storia dell’umanità, se ne stava concludendo un’altra, ossia quella della Guerra Fredda, dove lo spazio era stato palcoscenico per un’esibizione di potenza da parte di Nazioni, e di ideologie, contrapposte. Uscire dall’ambito terrestre era loro esclusivo privilegio, e non solo per motivi tecnici ed economici.

È roba del passato: negli ultimi anni agli Stati si sono dapprima affiancate, e poi sostituite, compagnie private, anche se spesso su commissione governativa. Ormai conosciamo tutti le principali: Blue Origin, fondata dal proprietario della società di distribuzione Amazon; SpaceX, azienda finalizzata ai collegamenti con la Stazione Spaziale Internazionale e alla conquista di Marte; Virgin Galactic, associata all’omonimo variegato gruppo economico per l’intrattenimento. Nell’insieme, il quadro delle organizzazioni private per la commercializzazione dello spazio e per il cosiddetto turismo spaziale conta ad oggi oltre venti nomi; invitabile quindi che, prima o poi, ai militari e agli scienziati subentrassero turisti orbitali civili. Dopo altri recenti episodi, ma di minore durata e soprattutto effettuati solo con voli balistici, il cambiamento è avvenuto giustappunto in quest’ultima settimana ed è stata una svolta significativa. Significativa perché eravamo abituati alle dure selezioni degli astronauti, alle prove estenuanti protratte per settimane se non per mesi, spesso ai limiti, e talvolta anche oltre, di tolleranza individuale. Inoltre l’addestramento era un complesso programma di rimodulazione di abitudini e ritmi, che adesso sembra non essere più così necessario. Il primo segnale si era avuto nel 1998, quando John Glenn, già primo americano in orbita nel 1962, all’età di 77 anni aveva affrontato un secondo lancio per una missione di otto giorni: anche la terza età diveniva candidabile per lo spazio, premessi rigorosi controlli medici. Stessa avventura nell’estate 2017 per il sessantenne italiano Paolo Nespoli, ma il record, seppur brevissimo nello scorso luglio con la Blue Origin, è dell’aviatrice statunitense Wally Funk e i suoi 82 anni.

Adesso la missione Inspiration 4 sul veicolo spaziale Crew Dragon della SpaceX, e i quattro membri di equipaggio, semplici cittadini: nell’insieme persone abbastanza normali, che hanno dovuto impegnarsi soltanto in un addestramento di quattro mesi. È un tempo confrontabile con quello che un normale capofamiglia spende per programmare le vacanze estive dei suoi cari. Sulla missione, si trovano su Internet tutte le informazioni necessarie, e tutte le risposte a tutte le domande anche le più singolari, e non occorre ripeterle qui. Sottolineiamo che il record, stavolta, è per l’età più giovane per un’astronauta, e sono i 29 anni di Miss Hayley, assistente medico ed una dei 4. Oltretutto con qualche problema fisico. Ecco, a poco a poco stanno cadendo tutti i limiti: diamo tempo al tempo e la conquista dello spazio diverrà alla portata di molti se non di tutti, un po’ come la conquista del West che per un secolo, a partire da metà del ‘700, portò eserciti di coloni sui prairie schooner ad occupare i territori occidentali degli Stati Uniti. Quasi: resta l’aspetto economico, ma di solito basta aspettare che il fenomeno si diffonda e i costi crollano, e quello psicologico. Intanto, in questo settembre, siamo stati spettatori (purtroppo un po’ distratti) di una mutazione storica dei paradigmi spaziali. Per rendersene meglio conto, cerchiamo di “leggerlo” come se fossimo nel futuro, cioè con la stessa ammirata curiosità con la quale oggi approfondiamo i Montgolfier, o i Wright.

Anzi, dato che l’anniversario dantesco esige anche da noi un minimo di considerazione, facciamo ricorso impudentemente ai versi del Paradiso, canto XVII, e riformuliamo quanto sopra: cerchiamo di “leggere” queste recenti missioni con gli occhi di «coloro che questo tempo chiameranno antico», vv. 119-120, per capire di cosa siamo testimoni.

 

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