LA FONDAZIONE DELLO STUDIUM, RIMEDIO ALLA PANDEMIA


Bettino da Bologna, Monumento a Matteo Gandoni, part., 1330, Bologna, Museo Civico Medievale

C’è da emozionarsi davvero a rileggere la solenne ‘provvisione’ che a metà maggio 1321 istituiva lo Studium florentinum, approfittando d’una grossa crisi di quello bolognese, in fermento da marzo. Era successo che uno studente valenzano accusato d’aver tentato di rapire una gentile pulzella era stato decapitato dalla giustizia, evidentemente a ragione, ma senza considerare che fin dai tempi del Barbarossa d’un foro privilegiato godevano gli studenti. I quali per protestare contro tale mancato rispetto se n’erano andati a Medicina, con i propri docenti, aspettando che qualche Comune, attratto dall’indotto economico legato all’Università, proponesse loro un’accettabile sistemazione. Già alcuni Studia erano sorti o avevano avuto incremento grazie al fenomeno secessio; stavolta Siena seppe approfittare dell’occasione, Firenze si sperse tra le magniloquenti asserzioni d’un governo preoccupato più della bella figura che di stanziare le risorse necessarie alla partenza effettiva dell’operazione.

E dire che fin dall’anno precedente uno Statuto del 21 marzo prevedeva l’istituzione di quattro cattedre di iura canonica et civilia (due per ciascuna materia), in civitate, ma in confronto ad esso la provvisione del 1321 appare lunga e dettagliata come una legge-quadro prefigurante l’attuazione della cosa per mezzo d’altre norme opportune. Nel proemio si fa riferimento al carattere di civitas regia di Firenze, rivendicando il suo diritto, connesso appunto a tale qualifica, di dotarsi d’uno Studium generale, impegnandosi il suo governo per ottenere il riconoscimento pontificio, e i privilegi ad esso connessi, come si hanno a Bologna; in particolare che possano studiare in città ius civile i chierici, continuando a ricevere i redditi dei benefici di cui erano titolari, fatto altrimenti vietato.

Il provvedimento non ebbe l’auspicato seguito, e la decisione appare del tutto dimenticata, anche da Giovanni Villani, il quale pur avrebbe dovuto menzionarla nella Cronica, vista la sua attiva partecipazione alla politica comunale. Forse voleva tacere un fallimento analogo a quello successo a Siena, quando lo Studium inaugurato in pompa magna era riuscito ad andare avanti solo un paio d’anni. E una conferma del voluto oblio viene dalla trattazione storica dovuta ad un altro Villani, Matteo, nella quale si parla d’un vero e proprio inizio dello Studio nel 1348. Il capitolo “Come in Firenze da prima si cominciò lo Studio” (I, 10), non soltanto non è inficiato da uno ‘sbaglio’ contrastante con la precisione degli altri dettagli forniti, ma il suo posizionamento è probabilmente del tutto ‘strategico’ nella narrazione, e porta il lettore ad inquadrare il fatto nella dimensione dei prodigi.

Nell’introduzione della cronaca, Matteo parla dell’inaudita “infermitade” del ’48, anno col quale comincia il suo lavoro, ed ha cura di spiegare come raccolse il testimone di narratore dal fratello: “nella quale mortalità avendo renduta l’anima a Dio l’autore della cronica nominata la Cronica di Giovanni Villani cittadino di Firenze, al quale per sangue e per dilezione fui strettamente congiunto, […] propuosi nell’animo mio fare alla nostra varia e calamitosa materia cominciamento a questo tempo, come a uno rinnovellamento di tempo e secolo”. Ed è in tale clima d’autentica rigenerazione che l’asserita prima fondazione dello Studio assume un posto di rilievo: perché quando viene a parlare dell’evento, il cronista lo riallaccia strettamente alla pestilenza, e lo presenta nella veste di principale rimedio alle trascorse traversie. “Rallentata la mortalità”, il Comune, per ripopolare la città, e per educare i cittadini alla scienza e alla civiltà, si mise in moto perché “in Firenze fosse generale Studio di catuna scienzia, e in legge canonica e civile, e di teologia”. Insomma, si comprese come essenziale istituire sul monte un faro denominato Studium generale, la cui luce confortasse le anime sbalordite dall’infernale pandemia, guidandole verso il necessario rinnovamento della società. Le sobrie considerazioni del cronista appartengano alla medesima dimensione da cui nacquero capolavori quali il Decameron, l’affresco del Camposanto di Pisa dovuto a Francesco Traini, il trionfo della morte d’Andrea Orcagna in Santa Croce di Firenze.

Più d’una specie di preavviso della specialità del caso, sembra trattarsi d’un’attribuzione di virtù miracolanti. Dopo tale premessa, il cronista descrive il piano operativo del governo. Nell’elenco si comprendono sei distinte mosse, dall’istituzione degli Offitiales seu reformatores Studii, magistratura che sembra eletta regolarmente solo dal ’58, formata, almeno all’inizio, di otto membri, allo stanziamento della spesa per i dottori (la somma inizialmente fu modesta, 1500 fiorini d’oro); dall’allestimento d’una sede nell’odierna Via dello Studio, all’avviso del fatto da darsi al di fuori delle mura cittadine (sulla base di quanto si fece dopo l’immaginiamo compiuta attraverso inviati appositi); dall’inizio regolare delle lezioni il 6 novembre del ’48 (la documentazione rimasta è scarsa), alla richiesta inviata dal Comune al papa e ai cardinali “a impetrare brivilegio di potere conventare in Firenze in catuna facoltà di scienza”. E questo è lo squarcio di cronaca dove il Villani più si diffonde, con un piglio propagandistico culminante col trionfale annuncio della bolla concessa da Avignone il 31 maggio del 1349, con la quale Clemente VI autorizzava quanto richiesto, e in più l’istituzione- della Facoltà di Teologia.


Luca Della Robbia, Grammatica, 1437, Museo Opera Duomo

La sede dello Studio fiorentino in via dello Studio, particolare della facciata

W. Marlow, veduta di via del maglio con le scuderie e il serraglio, 1767
già sede dello Studium fino alla seconda metà del XV secolo

 

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