Costituire l’Italia. Il dibattito sulla forma politica nell’Ottocento preunitario

Costituire l’Italia.
Il dibattito sulla forma politica nell’Ottocento preunitario

di Luca Mannori
edizioni Pacini, 2019

Nazione e costituzione. Due concetti che da sempre siamo così abituati a trovare congiunti nel linguaggio politico da non far più caso alla loro implicazione reciproca. Eppure il legame che li unisce non ha niente di banale. L’esigenza di fondare la convivenza civile su una norma fondamentale destinata,  molto prima che a limitare il potere, a mettere in forma la stessa comunità politica a cui apparteniamo, scatta in un momento preciso: quello in cui la società cessa di percepirsi come un castello di gruppi particolari più o meno interconnessi per assumere l’aspetto  di un’unica collettività, basata sulla condivisione di una sfera pubblica sovralocale e sovracorporativa  a cui si partecipa immediatamente, in quanto cittadini. E’ allora che diventa imperativo ‘costituirsi’, per attribuire appunto una visibilità istituzionale a questo nuovo e sfuggente soggetto – la nazione – che trova ben pochi riscontri nelle identità storiche precedenti.  Se ogni esperienza europea ha vissuto questo passaggio in base a propri tempi e a propri percorsi, il caso italiano ci presenta un laboratorio di grande interesse proprio perché molto lontano dai paesi-guida del costituzionalismo europeo. Da sempre costruita su un sistema di solidarietà micropolitiche estremamente frammentate ed ancorate assai più che altrove alla dimensione cittadina, la Penisola comincia ad avvertire la necessità di darsi una costituzione solo a partire dall’ultimo scorcio del Settecento, spinta da un impulso imitativo che la porta a scoprire subito tutta la propria inadeguatezza ad affrontare questa sfida. La successiva cultura risorgimentale, pur dando prova di grande inventiva nell’elaborare una mitologia nazionale di matrice storico-letteraria, continua a scontare una marcata difficoltà ad assimilare un concetto come quello di costituzione nazionale, che impone, per la sua stessa natura, di pensare il popolo in termini di rigorosa unità. Di qui, un percorso che, snodandosi dall’età napoleonica fino al 1860, tenta una quantità di piste diverse, la gran parte delle quali (si pensi solo a quelle a base municipal-corporativa, straordinariamente popolari almeno fino al 1848) presentano un aspetto del tutto dissonante rispetto alle direttrici del liberalismo classico. Sfogliare questo catalogo in una prospettiva esente da ogni teleologismo consente di recuperare tutta la fatica, ma anche tutta la ricchezza di un’esperienza che troverà solo negli anni Cinquanta un suo sbocco, per molti versi di segno sorprendentemente diverso rispetto alle premesse di tutto il precedente itinerario.

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