LE PIETRE DELLE CITTA’ MEDIEVALI

LE PIETRE DELLE CITTA’ MEDIEVALI.
Materiali, uomini, tecniche (area mediterranea, secc. XIII-XV)

Les pierre des villes médiévales.
Materiaux, hommes, techniques (aire méditerranéenne, XIIIe – XVe)

Atti del convegno internazionale, Torino/Cherasco, 20-22 ottobre 2017
a cura di Enrico Basso, Philippe Bernardi, Giuliano Pinto

Cherasco, Cisim, 2020

Oltre mezzo secolo fa Francesco Rodolico (docente di Mineralogia presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze e socio della ‘Colombaria’), pubblicava un libro per tanti aspetti ancora affascinante, Le pietre delle città d’Italia, dove alla competenza scientifica aggiungeva una sensibilità storica che gli derivava dall’ambiente familiare: il padre era infatti Niccolò, lo storico della Firenze dei Ciompi. L’autore metteva in evidenza come quasi ogni città d’Italia abbia avuto la sua pietra o le sue pietre di riferimento: Firenze, la pietra serena e quella forte; Venezia la bianca pietra d’Istria; Milano, il marmo delle cave di Candoglia; Verona, il calcare rosso; Napoli, il tufo giallo e il piperno di origine vulcanica; e via dicendo.

La pietra connotò in profondità la facies di tante città italiane (e del mondo mediterraneo) in particolare nei secoli finali del Medioevo (a partire dal XII), quando il ricorso ad essa si generalizzò nelle costruzioni pubbliche e private grazie alla forte crescita economica che mise a disposizione le risorse finanziarie necessarie. La scelta di tale materiale rispondeva alla necessità di realizzare edifici in grado di resistere al tempo e di celebrare nel contempo la ricchezza, il prestigio e il potere di comunità, di sovrani, di vescovi e papi, di singole famiglie.

Tra le pietre si affermò una gerarchia determinata da parametri diversi: la resistenza, la facilità di lavorazione, il costo, la bellezza (secondo i parametri del tempo), la possibilità di accostamenti cromatici. In genere, per ovvie ragioni economiche, si usavano le pietre delle cave più vicine al cantiere, ma non di rado le città più grandi e più ricche non esitarono a far arrivare da lontano i materiali più pregiati.

Il volume (aperto dall’Introduzione di Philippe Bernardi e Giuliano Pinto) spazia su molte realtà italiane: le città toscane (Gabrielli, Giorgi, Moscadelli), Milano (Del Bo), Roma (Esposito), Genova (Boato), Roma (Ait), la Sicilia (Nobile), ecc.; e su città francesi e spagnole (Digione, Tolosa, Albi, Palma di Maiorca, ecc.). Altri contributi prendono in esame le fonti a disposizione (Victor), le maestranze, locali e forestiere (Terenzi), la pratica del recupero (Foulquier), ecc. Molti dei saggi puntano la loro attenzione anche sui committenti e sull’organizzazione e sui finanziamenti dei grandi cantieri. Oggetto di analisi, infine, è il mondo del lavoro che ruotava intorno alle grandi costruzioni (cavatori, scalpellini, muratori, scultori, architetti) e, insieme, quel bagaglio di conoscenze matematiche e di abilità manuali non comuni, che erano trasmesse attraverso un lungo apprendistato. Conoscenze e abilità manuali che venivano da lontano, spesso dal mondo antico, talvolta dal mondo arabo, e che erano in molti casi patrimonio di maestranze itineranti.

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