La scuola oltre il lockdown

La pandemia ha travolto le nostre abitudini e ci chiede di adattare, magnis itineribus, le nostre categorie mentali antecedenti al coronavirus alle fasi successive. Questo impegno è tanto più necessario se vogliamo affrontare la fase di epidemia latente che caratterizzerà probabilmente il corso dell’estate e l’autunno. Una riflessione sulla nostra condizione di vita al livello individuale, familiare e comunitario è urgente per orientare al meglio i nostri comportamenti in un clima di disagio e di profonda incertezza come l’attuale. Proviamo allora a riflettere sulla scuola come un’istituzione che sta al crocevia tra lo spazio delle famiglie e lo spazio pubblico. Bisogna guardare con molta responsabilità, in un modo oggettivo ed utilmente critico, alle caratteristiche assunte dai servizi educativi in questa fase di emergenza sanitaria. La progettazione di un modello organizzativo innovativo dei servizi educativi, ovviamente disegnato in relazione alle esigenze dei diversi livelli formativi, si impone tra le priorità di una progettazione ineludibile che ambisca a ricostruire una società infragilita dalla pandemia. La scuola è stata ferita seriamente dal coronavirus. Un dato generale indiscutibile è che la qualità dell’attività didattica non solo è mutata nello schema tradizionale docente-alunno, ora filtrato dagli schermi di un computer, ma è risultata inevitabilmente di una minore efficacia formativa. Ciò per almeno due aspetti. Il primo aspetto: è mancata l’interazione face- to- face tra insegnante ed allievi. Il display del computer “raffredda” gli input didattici. Il secondo aspetto: la quantità di tempo dedicato alla teledidattica è stata assai ridotta rispetto alla attività didattica usuale. La classe è un mondo fatto di rapporti spontanei ed importantissimi per la formazione dell’alunno, che sia bambino o che sia adolescente. La classe rappresenta un universo relazionale autonomo rispetto alla cerchia familiare dove l’alunno può esperimentare il suo essere in società, in un contesto dedicato e protetto che dà senso alla crescita di un’identità ancora acerba.

Gli effetti della rottura dei legami scolastici abituali tuttavia sono assai differenti per i diversi livelli di età degli alunni. Sembra assodato che il Covid-19 non attacca i bambini, epidemicamente parlando. Una virologa di fama internazionale ha pronunciato una frase cinica quando ha affermato che «questo virus accarezza i bambini». Ma la “carezza” del coronavirus, in realtà, è subdola perché colpisce duramente proprio i bambini: inibisce la loro crescita come abitanti della scuola ed impedisce alla scuola di funzionare. Il bambino “domestico” mentre guarda il mondo nella finestra di uno schermo di un computer non corre il rischio di sviluppare la sindrome della lumaca che ama più di tutto il suo guscio? Non si deve permettere che dimentichi la scuola o peggio che sviluppi il timore di non poterci più ritornare. I mezzi di comunicazione di massa paradossalmente sembrano aver dimenticato i bambini: non ne hanno quasi parlato nei lunghi mesi del lockdown. I bambini di oggi, non dimentichiamolo, saranno i cittadini della città di domani, della città liberata dalla pandemia. Nei fatti la sospensione dei servizi educativi si è tradotta in un danno per loro, per le loro famiglie e per l’intera comunità un danno che non è azzardato paragonare agli effetti dell’incombente disoccupazione. L’adolescente, da tempo digitalizzato, soffre in modo minore la “reclusione domestica”. La sua dimestichezza con la tecnologia fa sì che la teledidattica risulti per lui più naturale. Anche il suo isolamento è stato in buona parte riequilibrato da esperienze comunicative che ripropongono, in vitro, lo schema relazionale della classe e propongono un input formativo da parte dell’insegnante che sperimenta una didattica quasi normale. Si è rotta piacevolmente una routine. Aumentano i compiti “in casa”, un dato che responsabilizza maggiormente gli alunni mentre diminuiscono drasticamente le ore di lezione: almeno fino alla interruzione estiva è stato così. Il risultato sul piano della maturità scolastica potrebbe non essere molto diverso da quello che si realizzava nella normalità. Per il bambino dell’asilo e delle scuole elementari la rottura è, invece, traumatica. Per i più piccoli l’associazione tra scuola e gioco in un gruppo, dove domina un clima emozionale all’insegna della spontaneità, scompare del tutto. La maestra ha tentato di riproporlo in via telematica ma, in genere, lo ha potuto fare solo a nuclei di 2 o 3 bambini che sono stati stimolati per un tempo breve e tramite un mezzo che inibisce ogni forma di comunicazione diretta. Prima del coronavirus la formazione avveniva, invece, nell’ambito di un gruppo primario che faceva della prossimità fisica, maestra-bambino e tra i bambini, una risorsa ineludibile sul piano comunicativo e didattico. La distanza telematica in questo caso depotenzia l’attività formativa in modo quasi integrale e svela tutti i suoi limiti di una “relazione fredda”. Non c’ è dubbio che il bambino dell’asilo ha perso la maestra/il maestro come punto di riferimento fondamentale. La sua socializzazione patisce oggi un deficit che è stato compensato parzialmente dalla figura genitoriale che, essendo obbligata a stare a casa, lo ha seguito nelle sue esperienze di apprendimento per un tempo maggiore del solito. Ma che cosa accadrà ora dato che i genitori, quasi tutti si spera, sono tornati al lavoro? La scuola deve riprendere a pieno le sue funzioni e ristabilire in modo nuovo i legami interrotti dalla pandemia.

L’impatto psicologico di un tempo prolungato senza scuola ha generato un danno serio sui percorsi di formazione e di socialità delle giovanissime generazioni. Alimenterà anche un sovraccarico di funzioni e di ansie sui genitori che non possono né surrogare all’infinito gli insegnanti né rinunciare ai loro ruoli produttivi fondamentali per il sostentamento familiare. Spazio scolastico e spazio domestico sono complementari, possono integrarsi positivamente in vario modo ma l’uno non può sostituirsi all’altro. Non va dimenticato, tra l’altro, che lo spazio scolastico è uno “spazio democratico” soprattutto nel senso che è uno spazio di incontro degli alunni su un piano assolutamente paritario. Il lockdown delle famiglie ha rafforzato sicuramente i ruoli genitoriali e li ha anche gratificati in un modo inedito. Ma un prolungamento eccessivo di questa fase – o peggio una sua replica- altererà inevitabilmente sia le dinamiche intrafamiliari sia i processi di apprendimento con conseguenze mal prevedibili. Solo le famiglie dei ceti più elevati potranno delegare a collaboratori esterni la formazione dei loro figli ed il loro sostegno ove si dovesse riproporre e prolungare l’esperienza del l’insegnamento a distanza. C’ è anche da temere che la crisi devastante del mercato del lavoro rimetta a casa per troppo tempo le mamme incrementando ulteriormente le diseguaglianze di genere. Ma si può dire che le mamme in smart working siano mamme in un senso pieno? O non si riproporrà invece, una volta di più, la solita condizione di un sovraccarico di lavoro domestico femminile?

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