Una “corona di spine”. Il nuovo virus che sta allarmando il mondo

Ogni grande epidemia genera sempre un’incontenibile ondata di panico nella popolazione mondiale. Questo è oggi sotto gli occhi di tutti. Televisione, giornali social media sono letteralmente sommersi da notizie, più o meno allarmistiche, riguardo alla diffusione di questo nuovo virus, il “coronavirus” che, dopo la sua comparsa in Cina nella provincia di Wuhan a metà Dicembre, si sta espandendo rapidamente anche in altri paesi del mondo, compresa l’Italia. Ai primi di Febbraio si contano circa 17.000 contagiati e quasi 400 decessi.

Ma cos’è questo “coronavirus”? I virus (dal latino virus, ‘veleno’) sono degli agenti infettivi di natura non cellulare che per alcuni aspetti sembrano “non viventi” in quanto non sono capaci di riprodursi da soli, ma una volta penetrati nelle cellule possono moltiplicarsi in queste ultime fino a provocarne la morte. Essi infettano (contagiano) tutti gli esseri viventi, dagli animali alle piante, ai microrganismi e vengono classificati in base a caratteristiche quali la loro forma o struttura, al tipo di materiale genetico che contengono al loro interno (DNA o RNA), o all’organismo ospite.

I coronavirus si chiamano così perché al microscopio elettronico (V. Immagine) appaiono come delle strutture globulari (“virioni”) circondati da tante piccole punte (“spikes”) che ricordano quelle di una corona. Queste punte (dette “peplomeri”) sono delle strutture proteiche che permettono al virus di attaccarsi alle cellule dell’organismo da infettare. Una volta che si sono legati alle cellule ospiti, i virus rilasciano in quest’ultimo il loro materiale genetico, una molecola di RNA, modificando profondamente il comportamento della cellula. Questi virus sono piuttosto diffusi in varie specie di mammiferi e uccelli, dove infettano il loro apparato respiratorio e gastrointestinale. Da 60 anni circa sappiamo che in alcuni casi questi virus riescono a compiere il cosiddetto “salto di specie”, cioè a passare agli esseri umani, causando sintomi che variano a seconda delle loro caratteristiche, ma che di solito includono febbre alta, difficoltà respiratorie, tosse, cioè quelli classici della polmonite. A oggi sono noti sette diversi coronavirus che possono infettare l’uomo, compreso quello da poco scoperto in Cina, al momento indicato come 2019-nCoV (2019-nuovo CoronaVirus), che viene definito “nuovo”, in quanto le sue caratteristiche non sono ancora note. Di solito, col passare del tempo, viene poi indicato un nome diverso, meno scientifico, che fa riferimento ai sintomi che provoca, come nel caso della SARS (“Severe Acute RespiratorySyndrome”), la sindrome acuta respiratoria grave che è, probabilmente, la malattia più conosciuta legata a un coronavirus. La SARS, che si originò inizialmente nella provincia di Guandong in Cina, causò nel biennio 2002-2003 un epidemia con circa 8000 contagiati in più di 30 paesi, causando la morte di più di 800 pazienti, cioè con un tasso di mortalità del 10%, assai superiore a quello osservato fino ad oggi per il 2019-nCoV. Fra le vittime della SARS ci fu anche il medico italiano Carlo Urbani, il primo ad averla individuata. Studi condotti negli anni successivi hanno portato all’ipotesi che i pipistrelli fossero i portatori sani della malattia, il cosiddetto “serbatoio del virus”. Nel caso attuale del 2019-nCoV si ritiene che la malattia si sia originata in uno dei mercati del pesce e degli animali vivi di Wuhan, ma occorrerà del tempo e molti studi, riguardo soprattutto alle sue capacità di mutare, prima di poter dare una risposta più precisa riguardo alle cause scatenanti dell’epidemia. Quello che possiamo dire è che in attesa di un possibile vaccino, che richiederà sempre un bel periodo di tempo, non esistono cure specifiche per contrastare il virus, ma solamente farmaci per ridurre i sintomi o per trattare le complicanze come la polmonite.

Qualcosa di analogo che avviene già con l’influenza che, è bene ricordare, è di gran lunga più pericolosa di quanto si pensi, visto che ogni anno uccide un numero elevatissimo di persone (dalle trentamila alle quarantamila l’anno soltanto negli Stati Uniti) e solo nei cosiddetti “anni positivi”. Questo ci deve far riflettere sul ruolo che i microrganismi (virus, batteri, ecc.) hanno avuto nel “plasmare” la vita dell’uomo. Basti qui ricordare la terribile pandemia influenzale nota come “spagnola”, che proprio un secolo fa (biennio 1918-1920), uccise fra il 3 e il 5% dell’intera popolazione mondiale. Un’epidemia che, per usare le parole della giornalista scientifica inglese Laura Spinney, “cambiò letteralmente il mondo”.

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