Il giorno della memoria

Proviamo a porci qualche domanda. Perché il giorno della memoria dell’olocausto è stata fissata dalle Nazioni Unite come ricorrenza condivisa dalle nazioni solo nel novembre 2005, sessant’anni dopo la fine della seconda guerra mondiale? Perché la legge italiana, a nostro merito prima dell’ONU, ha fissato per la memoria il 27 gennaio solo nel luglio 2000, cinquantacinque anni dopo la Liberazione?

Perché era finita la guerra fredda. Era finito un mondo che aveva congelato il ricordo della guerra mondiale e dei suoi orrori ma che aveva visto prolungarsi la guerra a bassa intensità in Europa, sotto diverse forme. Si era esaurita la stagione storica che aveva congelato la memoria.

Fino ad allora tutto doveva essere fermato e riletto secondo la chiave giusta. Gli armadi della vergogna dovevano restare chiusi, anzi bisognava cancellare la loro stessa esistenza. Era difficile fare i conti col fascismo, né in Germania si facevano conti col nazionalsocialismo. Anzi, nella Repubblica popolare tedesca la Stasi e la militarizzazione della società civile erano state costruite ad immagine e somiglianza del sistema nazionalsocialista. Non si volevano scoprire le colpe e le responsabilità del popolo tedesco, a ovest come a est, divenuto alleato nei due fronti contrapposti. Era impedito scoprire le complicità dei tanti, dei più, e non solo di quei pochi gerarchi che erano stati processati a Norimberga. Vincitori e vinti era il titolo di un famoso film di Stanley Kramer, con un magnifico Spencer Tracy che affronta il dilemma della legittimità dei vincitori a giudicare dei vinti. Si parlava solo di quattro gerarchi nazionalsocialisti. Era stata tutta e solo colpa loro e degli altri venti o poco più precedentemente processati? O, come, dissero a propria scusante, avevano solo obbedito a degli ordini. Quindi, in fin dei conti, di tutto era stato unico responsabile il Führer?

Poi era poco edificante ricordare Exodus e le responsabilità dell’impero britannico nella tragedia del popolo ebraico. Il passaggio dall’antisemitismo all’antisionismo era e resta breve. Ed era vietato ricordare che americani e sovietici si erano avvalsi di scienziati e tecnici tedeschi per i loro programmi militari. Troppi compromessi e troppi opportunismi incombevano perché ricordare fosse agevole e possibile.

Poi finisce una storia. L’Europa si libera d’un tratto dal giogo della divisione e della paura. Si dissolve la cortina di ferro e con essa comincia a scomparire la generazione della guerra, che portava nel corpo e nell’anima il ricordo. Ma questa stessa generazione di settantenni della fine del XX secolo fa a tempo ad assistere al ritorno dei mostri. Torna il genocidio; si riaffaccia, senza vergogna, il termine di pulizia etnica. Si tratti dei Balcani o dell’Africa. Ma i primi erano e sono casa nostra. Gli africani sono lontani. Nessuno si ricordava né ci eravamo dati cura a suo tempo della tragedia del Biafra. Notizie vaghe ai margini della cronaca della fine degli anni ’60. Quanti milioni di bambini sono stati annientati nell’assassinio di quel popolo e di quella terra cui si è cambiato nome, per cancellare anche l’ombra del genocidio? Cancellato con un tratto di penna, non c’è mai stato. Con la complicità degli Europei in quella sporca oil war. Ma non era affare nostro. Al massimo ricordavamo la cantilena serale di mamme e nonne perché figli e nipoti approfittassero della cena pensando alla fame dei bambini del Biafra.

Trent’anni dopo quello che accade nei Balcani ci riguarda eccome. L’annientamento avviene a due passi da casa. Turba i nostri sonni. Può divenire un incubo che ci riguarda. Tutto torna?

Allora dobbiamo consolidare la memoria. Dobbiamo imporci di ricordare anche se questo significa lottare contro la storia: questa corsa insensata che ci illudiamo essere crogiolo di progresso e di civiltà, il   regno del bene che vince sul male, come nei vecchi film di Gary Cooper. Perché gli esseri umani sono sempre uguali, ma sempre s’illudono di essere diversi. Allora i vecchi che stanno scomparendo vedono il passato che torna e impongono ai giovani di fermarsi a riflettere. Almeno un giorno, almeno una volta l’anno. Perché non muoia la speranza. Perché memoria e speranza sono sinonimi. Se non c’è la prima, la seconda diviene illusione. Tragica illusione.

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