Premio Nobel per la medicina 2019 ovvero come il respiro armonioso delle cellule ci consente di combattere molte malattie, quali infarto e cancro.

Il premio Nobel per la medicina è stato assegnato la settimana scorsa agli statunitensi Wlliam Kaelin jr e Gregg Semenza e all’inglese Peter Ratcliffe per aver scoperto come ogni singola cellula dell’organismo sia capace di adattarsi ai livelli di ossigeno presenti in un determinato ambiente ovvero per aver svelato i mirabili e complessi network di regolazione genica correlati ai livelli di ossigeno.

Che l’ossigeno sia indispensabile per la vita è noto da secoli. Nel 1770 lo scienziato svedese Carl Scheele in base ai suoi dati sperimentali giungeva alla conclusione che un quarto del volume dell’aria era costituito da ‘feuer luft’ – ‘aria di fuoco’ ovvero da quella componente dell’atmosfera che consente alle sostanze di bruciare, definita negli stessi anni come “ossigeno” da Lavoisier. “Non era noto, come dicono i premi Nobel per la medicina 2019, in quale modo una improvvisa carenza di ossigeno nelle cellule, dopo traumi, infarti, ferite o semplice attività fisica attivava numerosi geni quali quello dell’ormone eritropoietina, che fa crescere il numero dei globuli rossi nel sangue portatori di ossigeno, nonché altri geni capaci di aumentare il metabolismo e l’apporto di zucchero per tenere vivi i tessuti sofferenti”. Ratcliffe, Semenza e Kaelin hanno consentito di capire, grazie ai loro esperimenti, quali fossero i meccanismi molecolari messi in atto dalle cellule per adattarsi ai livelli di ossigeno. Le cellule animali sono capaci di modificare impetuosamente i livelli di espressione genica di più di trecento geni in rapporto ai livelli di ossigeno presenti in un determinato ambiente. È un po’ come se in pochi attimi Dante fosse in grado di riscrivere completamente la Divina Commedia tutta in pochi minuti a seconda della quantità di ossigeno presente nella biblioteca dove si trova a scrivere. Le modificazioni dei livelli di espressione genica indotti da modificazioni della concentrazione di ossigeno (che possono avvenire ad esempio in alta montagna o durante uno sforzo fisico) sono in grado di modificare profondamente le nostre principali attività fisiologiche, quali la respirazione, l’attività cardiaca ma anche le risposte immuni e lo sviluppo dell’individuo dalla vita fetale per tutta la vita dell’individuo. Numerosi lavori condotti dai tre premi Nobel 2019 hanno dimostrato che la modifica della espressione genica indotta da ossigeno abbia importanti effetti anche su molti processi patologici quali cancro, anemia, infarto cerebrale e del miocardio, infezioni e sulla riparazione delle ferite. Nei primi anni 90 del secolo scorso il pediatra Gregg Semenza fu in grado di identificare, purificare e successivamente clonare il fattore di trascrizione esiziale per la regolazione delle risposte geniche dipendenti da ossigeno che chiamò HIF (‘hypoxia inducible factor”-fattore indotto da ipossia). Dimostrò successivamente che il fattore HIF in realtà era costituito da due componenti, denominate HIF-1a e HIF-1b. HIF-1a era il vero fattore sensibile all’ossigeno mentre HIF-1b altro non era che una proteina di vecchia conoscenza, già denominata ARNT (“Aryl Hydrocarbon Receptor Nuclear Transport”), la cui attività funzionale non veniva modificata da concentrazioni diverse di ossigeno. Un aspetto assai interessante è che pressoché tutte le cellule animali e non solo alcune cellule specializzate possiedono tutto l’armamentario che le rende capaci di “percepire” molto precisamente i livelli di ossigeno presenti e di adattare ad essi i livelli di espressione di molti geni fondamentali per la vita. Parallelamente al pediatra Semenza, l’internista William Kaelin jr nel 1995 studiava i pazienti affetti da una rara malattia oncologica, quella di von Hippel-Lindau allo scopo di identificare i geni soppressori di tale malattia. Kaelin jr clonò il gene soppressore della malattia di von-Hippel-Lindau chiamandolo VHL e dimostrò che era possibile inibire la crescita tumorale sopprimendo il gene VHL. Il nefrologo Peter Ratcliffe nel 1999 scoprì che VHL regolava in modo ossigeno-dipendente HIF-1a attraverso una modalità post-traduzionale. I gruppi di ricerca coordinati da Ratcliffe e da Kaelin pressoché simultaneamente ed in maniera indipendente comprovarono che la regolazione di HIF-1a dipendeva da una modificazione covalente di HIF-1a ed in particolare dalla sua idrossilazione, che risultava essere ossigeno-dipendente.

La scoperta di HIF e delle vie metaboliche e cellulari da esso controllate e modulate in rapporto alla concentrazione di ossigeno presenti in un determinato contesto apre la strada allo sviluppo di numerose applicazioni terapeutiche. Sono giunti alla fine dei trial clinici e pressoché già pronti per l’uso per il trattamento di alcune forme di anemia in pazienti nefropatici dializzati e non dializzati farmaci che agiscono incrementando le funzioni di HIF inibendo i geni coinvolti nella sua idrossiprolinazione. ‘E possibile ipotizzare che inibire HIF possa condurre alla terapia di alcune forme di cancro in cui siano mutati i geni VHL. Potrà verosimilmente essere molto di ausilio inibire HIF per la terapia di altre importanti malattie quali le malattie cardiovascolari, l’infarto del miocardio, l’ictus cerebrale e le malattie caratterizzate da ipertensione polmonare. D’altro canto incrementare le funzioni di HIF potrà essere una valida arma terapeutica in quelle condizioni in cui tale attivazione possa essere di immenso aiuto, come nello stimolare le risposte immuni, la riparazione delle ferite e delle cartilagini.

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